“Come è possibile che un giovane beato possa comunicare una teologia eucaristica così vecchia, così pesante, ossessiva, concentrata sull’inessenziale e tanto trascurata invece sulle cose decisive?, scrive il teologo, scatenando un pandemonio
Fa discutere, anche all’estero, l’articolo con cui il professor Andrea Grillo (ordinario di Teologia sacramentaria al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma e docente all’Istituto di Liturgia pastorale Santa Giustina a Padova) devasta il “mito” del beato – e prossimo santo – Carlo Acutis. “Come è possibile che un giovane beato possa comunicare una teologia eucaristica così vecchia, così pesante, ossessiva, concentrata sull’inessenziale e tanto trascurata invece sulle cose decisive? Come è possibile che tutto il cammino che la Chiesa ha fatto negli ultimi 70 anni, sul piano della comprensione del valore ecclesiale della eucaristia e della sua celebrazione, sia stato comunicato, in modo così distorto al giovane ardente comunicatore, tanto da suggerirgli una comprensione tanto lacunosa, tanto difettosa, tanto unilaterale? Chi lo ha assecondato in questo interesse per i miracoli, trascurando il vero miracolo?”, ha scritto il professore. Vero miracolo che – dice – sarebbe “la comunione ecclesiale”. Grillo è scatenato, si domanda se “dovremmo forse arrivare a dire: lo riconosciamo santo ‘nonostante la sua fissazione distorta per i miracoli eucaristici’?”. La questione – sostiene – “è in realtà più grave, perché non riguarda un giovane adolescente, ma i falsi maestri che gli sono stati attorno durante la sua vita e che dopo la sua morte vogliono proiettare su di lui, come esempio, la loro cattiva teologia. La maleducazione eucaristica non è un problema del giovane Carlo, la cui vita breve porta pur sempre con sé una luce. Il problema non riguarda l’ adolescente, ma gli adulti che gli hanno messo in bocca queste parole, queste immagini, queste ricostruzioni, questi interessi non equilibrati e poco sani”. Per concludere: “Questa forma di grave maleducazione eucaristica dovrebbe forse diventare, attraverso Carlo che ne è stato la prima vittima, un modello da proporre a tutti i giovani? Ma vogliamo davvero scherzare? Chi avrà la faccia tanto tosta – e il cuore tanto arido – da sostenere una simile assurdità?”. Il problema è l’interesse – e la devozione – di Acutis ai miracoli eucaristici, che lo portò pure a ideare un blog per approfondire la questione. Il professore non crede a nulla di quanto viene detto e scritto sul ragazzo morto per una leucemia nel 2006. Scrive: “Tutti possono leggere e farsi una idea di quale sia lo stile, ecclesiale e teologico, con cui si raccontano le cose e le persone”.
E cita, a dimostrazione della propria tesi, il seguente passaggio: “L’altra colonna fondamentale della spiritualità di Carlo fu la devozione alla Madonna. Essa si esprimeva nella recita quotidiana del Rosario, nella consacrazione al suo Cuore Immacolato e nella progettazione di uno schema del pio esercizio che riprodusse con il suo computer. Dedicò una particolare attenzione ai Novissimi, che proiettarono la sua esistenza nella realtà della vita eterna”. I commenti al j’accuse grillesco vanno dal “come devastare un ragazzo” al dolore perché “questo ragazzo avrebbe avuto bisogno d’aiuto che, purtroppo, nessuno gli ha dato”.
La questione, in realtà, va al di là della vicenda umana di Carlo Acutis – giudicato degno della canonizzazione non solo da teologi, medici, cardinali e da ben due Papi – ma parla dell’impossibilità per certo cattolicesimo molto intellò di capire che esistono forme di devozione tradizionale che resistono nonostante tutto. Sì, anche tra i più o meno giovani. Il giorno dei funerali di Francesco, in mezzo al sagrato, erano accampati migliaia di ragazzi con le magliette preparate per la canonizzazione di Acutis: bastava uscire due minuti dalle aule accademiche o spegnere il portatile per rendersene conto. Gente che non ha passato gli anni a studiare Karl Rahner o Yves Congar, ma che ha trovato in quel ragazzino un modello: era interessato ai miracoli eucaristici? Bene. E allora? Andava a messa ogni giorno credendo a quel che vedeva e in ciò cui partecipava? Il problema quale sarebbe? Dov’è lo scandalo? Per lui la messa era roba vera e non un’assemblea domenicale con canti – magari balli – e pure campane tibetane fatte suonare per destare gli assopiti? Si vorrebbe capire, settant’anni dopo gli slanci intellettuali, cosa abbia prodotto questa “crescita consapevole”, questa “buona educazione” (contrapposta alla “maleducazione eucaristica” imputata ai cattivi maestri di Acutis), questo intellettualismo accademico che ha reso sovente la fede più un oggetto di studio empirico che un mistero. La lentissima e limitata ripresa del cattolicesimo segnalata da più parti in Europa è dovuta – ovunque – a una ricerca di senso, al trovare in chiesa, davanti al tabernacolo (citazione da un testimone svedese) qualcosa che il mondo fuori non offre più a una società iperconnessa e paradossalmente fatta di solitudini. Acutis in questo è un modello evidente. Carlo – sono parole di Papa Francesco – “non si è adagiato in un comodo immobilismo, ma ha colto i bisogni del suo tempo, perché nei più deboli vedeva il volto di Cristo. La sua testimonianza indica ai giovani di oggi che la vera felicità si trova mettendo Dio al primo posto e servendolo nei fratelli, specialmente gli ultimi”. E’ più facile che un adolescente di oggi, alzato lo sguardo dal proprio smartphone dopo aver visto il decimo reel consecutivo su Instagram, s’appassioni alla sua vicenda anziché a un tweet di Leonardo Boff.