La recensione del libro di Donald Antrim, Einaudi, 128 pp., 16,50 euro
La corposa bibliografia al termine del testo svela, se mai ce ne fosse bisogno, che non è un romanzo quello che abbiamo appena letto, ma un saggio. Un venerdì di aprile di Donald Antrim è un memoir che non si limita a raccontare, ma prende anche posizione sul tragico tema del suicidio. Antrim – nato a Sarasota, Florida, nel 1958 – ci racconta il suo entrare e uscire dai reparti psichiatrici degli ospedali a partire da un episodio della sua vita: quel venerdì di aprile, appunto, in cui prese a dondolarsi dalla scala antincendio del palazzo in cui abitava valutando se buttarsi oppure no. “Non ero salito sul tetto per buttarmi. Ero lì per morire, ma la morte non era nei piani. Non stavo facendo una scelta né una minaccia né un errore”. Il racconto di Antrim presenta il suicidio non come il frutto di una decisione volontaria, ma come qualcosa di ineludibile, scritto nella storia di alcuni individui per cause difficilmente identificabili. Il suicida, scrive Antrim, “sta provando a sopravvivere”. Episodi dell’infanzia dell’autore si mescolano a descrizioni impietose dei ricoveri e dei suoi rapporti con gli altri. Il flusso è trascinante. Il lettore viene spesso interpellato direttamente (“La mia amica stava provando a morire. E voi, ci avete provato? Avete scoperto quanto è difficile?”). Uno dei brani più sorprendenti del libro è la telefonata di David Foster Wallace ad Antrim. I medici avevano proposto ad Antrim di sottoporsi a un ciclo di terapia elettroconvulsivante (TEC, meglio nota come elettroshock). Antrim ha paura, non sa quali saranno gli effetti sulla sua vita e sulla sua capacità di scrivere. Wallace gli consiglia di farla: lui ci si era sottoposto negli anni Ottanta e lo considerava un trattamento sicuro. Antrim seguirà il consiglio di Wallace. Su di lui funzionerà. La stessa terapia – come sappiamo – non fu invece efficace con Wallace che si sarebbe ucciso nel 2008. Come nel celebre studio del sociologo francese Durkheim, anche in questo testo di Antrim trova spazio una disamina delle tematiche collettive legate al tema del suicidio, un rifiuto delle semplificazioni psicologiche a favore di un’analisi che legge l’atto estremo alla luce dello stigma e delle relazioni tra individui. Ma Antrim è un narratore capace (di lui qui in Italia sono apparsi tre romanzi per minimum fax, mentre Einaudi ha pubblicato – tra gli altri – La vita dopo, forse il suo libro di maggior successo, dedicato al rapporto complesso tra l’autore e sua madre). Nelle pagine di critica sociale si affacciano minime descrizioni di una New York distante e luminosa, una metropoli al tempo stesso fredda e accogliente che fa da suggestivo sfondo ai tormenti del protagonista.
Un venerdì di aprile
Donald Antrim
Einaudi, 128 pp., 16,50 euro