Un controllo rigoroso per garantire standard elevati di sicurezza nei cieli europei. Una mappa geopolitica aggiornata che premia trasparenza e responsabilità
C’è qualcosa di profondamente civile e tranquillizzante nell’idea che l’Unione europea tenga una lista nera delle compagnie aeree pericolose. E’ uno di quei gesti silenziosi che ci fanno capire che, per quanto spesso l’Europa sembri debole, goffa o frammentata, quando si tratta di proteggere i cittadini sa essere esigente. Il 3 giugno 2025 la Commissione europea ha aggiornato la Eu Air Safety List, e non è un aggiornamento di facciata: dentro ci sono nomi, paesi e decisioni che hanno un peso geopolitico, economico e simbolico.
Tra le novità principali c’è l’inserimento di tutte le compagnie aeree certificate in Tanzania e Suriname. Un divieto totale. Non si tratta di un equivoco o di una formalità: è una dichiarazione netta, presa dopo una valutazione tecnica condotta insieme all’Easa (l’agenzia europea per la sicurezza aerea) e ai rappresentanti degli stati membri. In pratica, si dice che le autorità aeronautiche di quei due paesi non sono in grado di garantire i livelli minimi di sicurezza: mancano ispezioni adeguate, il personale è insufficiente, le regole non vengono applicate.
Nell’elenco generale ci sono 169 compagnie completamente bandite dallo spazio aereo europeo. Alcune sono note da anni: quelle della Repubblica democratica del Congo, dell’Afghanistan, della Libia, del Sudan, della Siria. Altre riflettono tensioni più recenti: 22 compagnie russe sono escluse, a conferma di come la guerra e l’isolamento diplomatico abbiano ormai conseguenze anche in ambito tecnico. E poi ci sono quelle zone grigie dove la tecnica si confonde con la politica: l’Iran, per esempio, ha una compagnia (Iran Air) soggetta a restrizioni parziali, e un’altra (Iran Aseman Airlines) totalmente vietata. Lo stesso vale per la Corea del Nord: Air Koryo può volare solo con determinati aerei, e solo a certe condizioni.
Dietro questi nomi c’è un lavoro silenzioso ma cruciale. La Commissione, insieme all’Easa, non si limita a pubblicare una lista: controlla codici, certificati, licenze operative, cerca di verificare l’identità reale delle compagnie. Ma ammette, onestamente, che non sempre è possibile sapere tutto. Alcuni operatori usano nomi simili, volano in condizioni opache, sfuggono alle regole internazionali. E’ un mondo grigio, ai margini dell’aviazione civile globale, dove si può comprare un aereo, cambiarne il logo, registrarlo in un altro stato, e tornare a volare con bandiere di comodo.
Eppure, c’è anche un margine per la fiducia e per il riscatto. Il regolamento prevede che le compagnie escluse possano chiedere una revisione, se dimostrano di aver risolto le criticità. Possono operare voli “in wet lease”, cioè affittando aerei e personale da compagnie certificate. Possono, insomma, scegliere se restare fuori o provare a rientrare nel circuito della trasparenza. L’Europa, da questo punto di vista, non è una fortezza: è una comunità di regole, ma anche di incentivi.
Un altro aspetto interessante è che per volare in Europa le compagnie extra Ue devono ottenere un’autorizzazione specifica: si chiama “Part-TCO” e viene rilasciata dall’Easa. E’ una sorta di bollino tecnico che certifica la conformità agli standard internazionali. Anche qui c’è un lavoro costante di verifica, aggiornamento, dialogo. La sicurezza aerea non è un timbro sul passaporto: è un processo continuo.
Per il passeggero medio, tutto questo si traduce in una maggiore serenità. Non ci si accorge quasi mai del fatto che certe compagnie non arrivino più in Europa. Ma è proprio questa la forza della lista: evitare i problemi prima che diventino tragedie. Evitare che un aereo mal mantenuto, mal pilotato o mal controllato possa solcare i cieli sopra le nostre teste. Prevenire è meglio che piangere sui relitti.
C’è poi un messaggio più profondo, che riguarda la politica internazionale. Dire a un paese che le sue compagnie non possono volare in Europa è un modo per esercitare una forma di pressione civile, non violenta ma incisiva. E’ dire: se vuoi far parte della comunità internazionale, devi rispettarne le regole. Non bastano gli accordi diplomatici: serve che la tua aviazione sia sicura, che i tuoi controlli funzionino, che i tuoi ispettori facciano il loro mestiere.
L’elenco pubblicato il 3 giugno scorso non è solo un documento tecnico. E’ una piccola fotografia del mondo, visto da un’Europa che continua a credere nel potere delle regole, nella forza dei controlli, nella capacità di far pesare la trasparenza più della retorica. E’ il volto buono della burocrazia: quello che salva vite, senza clamore. E ci ricorda che anche nei cieli si combatte, ogni giorno, la battaglia tra ordine e disordine.