L’autore britannico ha venduto oltre 75 milioni di copie in tutto il mondo con il suo romanzo Il Giorno dello sciacallo. Avviato alla scrittura “per puro caso”, il suo metodo era fare ricerca per sei mesi e poi scrivere il romanzo in tutta fretta, senza seconde stesure. Forse è proprio questa la ricetta per un bestseller
“Ogni editore che si rispetti dovrebbe leggere i bestseller” mi diceva qualche tempo fa Luca Formenton, uno che di libri un po’ ne mastica. “Il problema è che sono peggiorati parecchio negli ultimi anni. Di Forsyth non ne fanno più”. Già, Frederick Forsyth ci ha lasciati a 86 anni qualche giorno fa, circondato dalla sua famiglia nella casa del Buckinghamshire. Autore di oltre venticinque romanzi su intrighi e cospirazioni internazionali, dobbiamo all’improvvisa decisione della Bbc di licenziarlo la sua scelta di mettersi a scrivere. A Londra non era piaciuto granché che avesse fatto di testa propria, nei suoi dispacci da giovane inviato di guerra in Biafra. Rientrato in patria dopo due anni nel bush, Forsyth si era trovato di fronte a un dilemma mica da ridere: come campare? La sua soluzione apparentemente dissennata di scrivere un romanzo si rivelerà vincente. La trama è presto detta: l’Organisation de l’armée secrète commissiona a un killer l’assassinio del presidente francese Charles de Gaulle, per punirlo del suo tradimento in Algeria. Il libro è la storia della programmazione e realizzazione dell’attentato.
Quel romanzo, intitolato Il giorno dello sciacallo, renderà Forsyth una celebrità. Stampato inizialmente in ottomila copie, finirà per venderne oltre 75 milioni in tutto il mondo. Un libro su un assassinio che il lettore sa, fin dal principio, non essere mai avvenuto. La vittima designata è ancora viva quando esce il libro. Dunque, come si regge la tensione se già sappiamo che l’uomo nel mirino dello Sciacallo l’ha fatta franca? Curiosando nella ventiquattrore a doppio fondo di Forsyth forse potremmo scoprire l’arcano: zero digressioni ma anche un livello di dettaglio mai visto prima; ci vogliono due pagine per descrivere l’arma con cui il killer prezzolato colpirà. E com’è possibile che ci si ritrovi a simpatizzare con una specie di terrorista a gettone? Lo Sciacallo è un personaggio indimenticabile nonostante non abbia un nome né un background. Di lui non conosciamo attitudini e gusti, sappiamo solo che è inglese, rodatissimo e ha un certo penchant per il gentil sesso. È un personaggio antiromanzesco che non ha un’evoluzione o uno sviluppo emotivo. I cattivi di Forsyth sono dei professionisti, non se ne stanno in poltrona, col monocolo, ad accarezzare gatti persiani. La loro ambivalenza morale è tutta nella descrizione d’impiego fornita dallo Sciacallo stesso: “Sono specializzato nella eliminazione di persone che hanno nemici ricchi e potenti”. Mercenari e soldati di ventura, dunque, come quelli di I mastini della guerra, il terzo romanzo di Forsyth, quasi un prontuario, dovesse venirvi mai voglia di rovesciare il regime di uno staterello africano per sfruttare certi giacimenti di platino. Era lo stesso Forsyth a vedersi come un suo personaggio: “Sono un po’ un mercenario”, diceva. “Scrivo per soldi”. Nella sua autobiografia riluttante, un po’ pigramente intitolata L’outsider (Mondadori), sosteneva di essere diventato scrittore “per puro caso”. Non voleva scrivere, voleva girare il mondo. E d’altra parte non gli piaceva “stare chiuso a faticare come un maledetto monaco quando magari fuori c’è una bella giornata di sole”. Il suo metodo, allora, era diventato fare ricerca per sei mesi e poi scrivere il romanzo in tutta fretta. Forsyth non credeva nelle seconde stesure, Il giorno dello sciacallo lo aveva scritto in 35 giorni e quella che leggiamo oggi è ancora la prima bozza.
Reazionario ma mai conservatore – quello snobbone di le Carré lo prendeva in giro per il suo accento “farlocco da colonnello” – Forsyth temeva riadattamenti “woke” delle sue opere e per l’ultima serie Sky tratta dal suo romanzo più famoso, con Eddie Redmayne nel ruolo dello Sciacallo, si era limitato a un paio di consulti telefonici e a intascare l’assegno con le royalties. Tanto, avrà pensato, dopo The Jackal, con Bruce Willis e Sidney Poitier, era difficile fare peggio. Da recuperare, invece, l’originale di Fred Zinnemann e anche I mastini della guerra, con Christopher Walken, o Il quarto protocollo, con Michael Caine. La vita di Frederick Forsyth, si sarà capito, sembra uscita da uno dei suoi romanzi. Giovanissimo diventa pilota della Raf, viene mitragliato da un MiG russo in Nigeria e arrestato dalla Stasi a Magdeburgo, per non dire di quella volta in cui subisce un tentativo di seduzione da parte di una fascinosa agente cecoslovacca (ah, gli incerti del mestiere). Forsyth ha sempre negato di essere una spia, ma di sicuro all’MI6 qualche “favore”, come li chiamava lui, l’aveva fatto nel tempo. Per esempio, trasportare valigette da un lato all’altro del Muro o passare qualche rapporto di straforo nei suoi anni in Biafra. Al fondo, però, restava sempre il vecchio segugio alla ricerca di una storia: per fare ricerca prima di scrivere I mastini della guerra, si era camuffato da trafficante di armi sudafricano e sotto copertura si era incontrato con certi loschi mercanti nel porto di Amburgo per acquistare una partita di armi da utilizzare nella guerra civile in Angola. La leggenda recita che il trafficante, però, l’avesse riconosciuto dalla foto in quarta di copertina all’edizione tedesca di Il giorno dello sciacallo. Non ne fanno più di Forsyth, forse perché neppure i trafficanti d’armi leggono più come un tempo.