Sembra strano, ma a scacchi si gioca anche a squadre

I World Rapid and Blitz Team Championship si concludono con la vittoria schiacciante della squadra a conduzione prevalentemente indiana “MGD1”: la somma dei singoli giocatori, una coerente addizione dove ogni scacchiera vale uno, con più stress e più divertimento

Si sono appena conclusi i World Rapid and Blitz Team Championship, vittoria schiacciante della squadra a conduzione prevalentemente indiana “MGD1” nella sezione Rapid, trionfante nella sezione Blitz (X). Può sembrare strano, ma a scacchi si gioca anche a squadre. In questo caso a Londra si sono sfidati sei giocatori per ogni squadra; i risultati individuali, messi assieme, hanno dato il risultato collettivo. Le squadre sono dunque nient’altro che la somma dei singoli giocatori, una coerente addizione dove ogni scacchiera vale uno. Vi è però in aggiunta la consapevolezza di non star giocando da soli. Sulla conduzione della partita e sul come viene vissuta psicologicamente, ciò incide eccome: se infatti uno dei tratti caratteristici del gioco è il sapere di poter imputare solo a sé stessi l’esito positivo o negativo, giocando in squadra ogni componente deve invece portare sulle spalle, oltre al proprio fardello psicologico, anche quello dei compagni. Lo stress dell’esperienza spesso è dunque maggiore, come d’altronde altrettanto spesso lo è l’emozione, e il divertimento.

Il campione americano Bobby Fischer, quando diceva di credere solo alle buone mosse sulla scacchiera e non alla psicologia, diceva surrettiziamente anche di disdegnare questo divertimento collettivo. Del gioco a squadre, in fondo, non si è mai curato molto, basti pensare al fatto che accettò di giocare in seconda scacchiera dietro Bent Larsen nel match “The World vs the Ussr” del 1970. La sua crociata contro il gigante russo, era evidente, voleva che fosse puramente individuale, e lì le pressioni e le responsabilità di certo non mancavano.

Se dunque più responsabilità contribuiscono ad aumentare la tensione, è vero anche che incide ugualmente la mancanza di un pieno controllo, che può dipendere dalla cadenza di gioco, quando è molto veloce (Rapid), o addirittura velocissima (Blitz). Il tempo non è qualcosa di esterno al gioco, al contrario ne fa parte e costituisce, assieme allo spazio della scacchiera, la formazione dell’esperienza del gioco stesso. I giocatori sfruttano il tempo a proprio vantaggio (Mikhail Tal lo sapeva bene, anche un sacrificio scorretto risulta inconfutabile al suono delle lancette dell’orologio), e vivono in mancanza di tempo (il famoso “zeitnot”) il momento di massima tensione. In velocità si è meno precisi, si commettono più errori, si regala meno spettacolo sulla scacchiera ma decisamente più show e vitalità fuori. L’impulsività si adatta perfettamente agli algoritmi dei social network, ai nostri principali media comunicativi, ma il sonno del tempo per ragionare a volte genera mostri (scacchistici).



La partita: Firouzja Alireza vs Abdusattorov Nodirbek, World Rapid Team Championship, 0-1


Eccone un esempio. Qui il bianco, in zetinot, gioca 82.fxg5?? regalando la tesissima partita con una sola mossa. Riesci a vedere perché?

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