Spaun dopo la tempesta. Chi è il vincitore degli U.S. Open di golf

La 125ª edizione del torneo golfistico si chiude a Oakmont con il putt più lungo mai visto sulla diciotto per vincere un major. Nessuno lo dava tra i favoriti, ma J.J. Spaun ha piazzato il colpo della vita ed è entrato nel mito

Lampi pioggia e tensione che spezza i nervi, è stato un torneo che entra di diritto nella storia del golf. La 125ª edizione dello U.S. Open si chiude a Oakmont con il putt più lungo mai visto sulla diciotto per vincere un major, diciannove metri di traiettoria dalle mani di J.J. Spaun che entra nel mito proprio dove la gloria la si conquista solo con grandi imprese.

Spaun non è il nome che si attendeva sul trofeo, nessuno lo dava tra i favoriti, nessuno lo raccontava tra le firme da copertina ma stanotte ha messo la palla in green col driver alla diciassette e ha chiuso un round che sembrava affondare dopo cinque bogey nelle prime sei buche e ha piazzato il colpo della vita alla diciotto leggendo la pendenza come un rabdomante che ha lasciando la folla col fiato sospeso per tre infiniti secondi.

Qui hanno vinto grandi campioni, quelli veri roba da far tremare i polsi Gene Sarazen, Bobby Jones, Tommy Armour, Sam Snead, Ben Hogan, Jack Nicklaus a Oakmont non si vince per caso devi essere corazzato di tecnica e nervi saldi e devi sapere che ogni errore pesa come piombo che ogni green scivola via come vetro lucidato.

Se nel 1973 Johnny Miller chiuse il torneo con un 63 che resta ancora oggi il giro perfetto per eccellenza, 18 greens in regulation 9 birdie e un bogey demolendo Trevino, Nicklaus e l’idolo di casa Arnold Palmer, questa domenica J.J. Spaun scrive un’altra pagina fatta non di perfezione ma di feroce resistenza e cieca determinazione.

Lo score dice 64 65 72 72 per un totale di 279 colpi, uno sotto il par, è l’unico giocatore a riuscirci su un campo che sembra fatto per stritolare ogni velleità fra rough assassini, bunker profondi come caverne e green che rimbalzano come lastre d’ossidiana. Dietro di lui si fermano quattro europei agguerriti Robert MacIntyre a +1, Viktor Hovland a +2, Ludvig Aberg e Tyrrell Hatton appaiati a +3. Condizioni metereologiche del genere poteva essere una grande occasione ma oggi è J.J. Spaun, con grande emerito, l’unico incontrastato vincitore.

Chi sia davvero Spaun se lo chiedono in molti mentre alza la coppa davanti a una platea di increduli, ragazzo di Los Angeles di origine filippina ex walk-on all’università di San Diego, niente patine e niente proclami, solo dedizione e fatica. Uno che diventa pro quasi per necessità e oggi, a trentacinque anni suonati, buca il cuore dello U.S. Open con la lama affilata della volontà.

Fra le zolle di Oakmont, dove Hogan nel 1953 camminò dritto verso l’eternità e Nicklaus nel 1962 aprì la porta della leggenda, oggi Spaun trova il suo posto definitivo nell’Olimpo dei campioni, accompagnato da un grido che viene dalla tribuna, “daddy won!” e da un putt che resterà nella memoria di tutti quelli che credono ancora che il golf sia anche un destino. Spaun non può essere una meteora, a Oakmont non si viene per caso e chi vince qui non se ne va mai per davvero.

Di più su questi argomenti:

Leave a comment

Your email address will not be published.