La rigenerazione urbana? Inclusiva e densa, parola di Liz Diller

La archistar americana premiata alla Biennale racconta perché la densità urbana è il futuro delle città e spiega come Milano può crescere senza perdere anima e inclusività

Quando tutti sono fuggiti dalle città durante la pandemia, credevo che non sarebbero tornati. In realtà quel periodo ci ha mostrato come in futuro costruire vorrà dire avere una maggiore densità. La densità produce città fiorenti, favorisce la comunicazione, lo scambio culturale e l’istruzione”. Elisabeth “Liz” Diller, architetta americana di fama mondiale, ha appena vinto il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia per “Canal Café”, un complesso sistema per trasformare l’acqua salmastra della Laguna in acqua potabile per fare il caffè (lo chef Oldani ha dimostrato pubblicamente il risultato). Parla con il Foglio collegata dal suo studio newyorkese (Diller Scofidio+Renfro), conosciuto a livello mondiale per avere partecipato alla rigenerazione urbana di grandi città post industriali, tra cui Milano, dove sta collaborando con il gruppo Coima alla ristrutturazione del Pirellino e alla riqualificazione dello Scalo di Porta Romana. Diller parla della distesa di binari che attraversa quell’area come di una “ferita urbana che andrebbe ricucita attraverso la realizzazione di nuovi spazi pubblici e verde attrezzati e nuove connessioni”.

Entrambi i progetti – dopo quattro anni per il Pirellino e tre per Porta Romana – sono ancora oggi in attesa di rilascio dei permessi del Comune. Ma Diller, che è membro delle Nazioni Unite per le progettazioni urbane e docente di Progettazione architettonica a Princeton, conosce bene la complessità che caratterizza i percorsi di riqualificazione. Ha lavorato in contesti molto diversi tra loro come Milano, Parigi, Mosca e soprattutto New York dove, tra l’altro, ha progettato la famosa High Line nel quartiere degli artisti che l’ex sindaco Giuliani voleva abbattere per intero per consentire ai costruttori di edificare. “Non è andata così – racconta – per fortuna ha prevalso l’idea di costruire un grande parco pubblico che attira 8 milioni di visitatori all’anno, ma è successo che questo ha contribuito a far lievitare alle stelle il valore degli immobili circostanti trasformando comunque il quartiere degli artisti di una zona per ricchi. Sono molto orgogliosa dell’High Line, ma non avrei voluto che gli artisti scappassero perché non si potevano permettere gli affitti. Pensandoci a posteriori, si sarebbero potute fare leggi che garantissero una maggiore equità nel processo di ristrutturazione”.



Milano sta attraversando una fase di ripensamento dopo una decenni di sviluppo immobiliare che ha attirato investitori da tutto il mondo. Processo che ha avuto l’effetto di allontanare la classe media dal centro e questo ha portato alcuni urbanisti a ritenere che se una città diventa attrattiva è anche meno abbordabile. Lei è d’accordo? “In generale, penso che sia giusto mantenere l’equilibrio di una città, con persone di tutte le estrazioni sociali che convivono, non solo i ricchi. Deve essere possibile avere alloggi a prezzi accessibili e avere comunque palazzi esclusivi. Ma quello che è successo a Milano è abbastanza comune a tutte le città importanti: la rigenerazione urbana genera una rivalutazione dei valori immobiliari e una gentrificazione, cioè un cambiamento socio-culturale delle aree oggetto di interventi. A New York, in alcuni casi, c’è stata proprio una privatizzazione degli spazi perché è una città dove c’è tanto business e la sfida più recente, anche per la pubblica amministrazione, è stata quella di riconvertire i palazzi a uso ufficio che si erano svuotati durante la pandemia lasciando deserte intere zone soprattutto di sera. Per ripopolare queste aree bisogna offrire appartamenti a prezzi non stratosferici”. A proposito di grattacieli, pensa che in futuro lo sviluppo urbano delle grandi città sia sempre più verticale, anche per ridurre il consumo di suolo e preservare il verde pubblico, o ci sarà un recupero di quello orizzontale perché più a misura d’uomo?

“Dove c’è molto movimento, affari, scambi commerciali e culturali, concentrazione di persone, si verifica un tipo di crescita urbana verticale, semplicemente perché manca lo spazio. Ma io dico: ci deve essere una ragione per l’altezza, deve essere il riflesso del dinamismo di una città e comunque è sempre possibile far convivere edifici alti e bassi in una dimensione armoniosa”. Gli edifici residenziali con tanti piani sono diventati, almeno in Italia, simbolo o di grande ricchezza o di povertà, come in alcune periferie. Come si fa a garantire uno sviluppo residenziale graduale e bilanciato? “E’ necessario avere una visione della città che non sia solo di proprietà pubblica o privata e qualcuno che supervisioni la salute della città stessa in un quadro più ampio di sviluppo. Per la parte residenziale, è necessario avere in mente un reddito medio che garantisca diverse fasce sociali”. Chi deve stabilire qual è il reddito medio? “Il governo o le istituzioni locali”. Qual è la città italiana che l’ha colpita di più e dove le piacerebbe lavorare in futuro? “Ho vissuto per un po’ a Roma frequentando l’Accademia americana ed è straordinaria, però sento Milano più vicina al mio stile di vita. In ogni caso, l’Italia è così bella ma così antica, e questo è un grande problema perché ci deve essere uno sviluppo molto attento, direi chirurgico, e supervisionato. Per quanto mi riguarda, in futuro sarò concentrata su New York, che è la mia città che voglio continuare ad aiutare”.

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