Quell’improvvisa condanna dell’americanismo firmata da Leone XIII

Un cambio d’opinione strabiliante e inspiegabile nella Lettera apostolica, conosciuta come Testem benevolentiae. Solo quattro anni prima Papa Pecci aveva lodato gli Stati Uniti

Il Leone predecessore di Papa Prevost è stato il Pontefice romano che più si è occupato degli Stati Uniti, nazione cui Gioacchino Pecci dedicò la sua attenzione 230 anni fa con una enciclica altamente laudativa della società e della Chiesa statunitensi (Longinqua oceani, 1895) e poi con una Lettera apostolica, la Testem benevolentiae (1899), diventata famosa come la condanna da parte di Leone XIII dell’americanismo, cioè del rovesciamento della auspicata cattolicizzazione dell’America nella temuta americanizzazione della cattolicità.

Un cambio d’opinione strabiliante e inspiegabile nel breve volgere d’un quadriennio! Come poté accadere? Qualcuno dette la colpa a una traduzione errata, (e in effetti nelle prime righe della lettera indirizzata al cardinal James Gibbons di Baltimora si legge: “Ti è ben noto, diletto figlio Nostro, che il libro intorno alla vita di Isacco Tommaso Hecker, specialmente per opera di coloro che lo tradussero in altra lingua o lo commentarono, suscitò non poche controversie per talune opinioni espresse intorno al vivere cristiano”), per altri invece fu una congiura antiamericana ordita a Parigi e nella Curia romana, ma il nodo è alquanto aggrovigliato e occorre allargare lo sguardo per comprendere quell’apparente giravolta. Innanzitutto chi era padre Hecker? Un americano nato oltre duecento anni fa, di modesta famiglia protestante, passato per il trascendentalismo di Emerson, Thoreau e Hawthorne, poi convertito al cattolicesimo, entrato nei redentoristi e infine, con l’approvazione di Pio IX, fondatore della Congregazione dei “paulisti”, che dette un impulso straordinario alla presenza sociale del cattolicesimo statunitense (fondò il Catholic World, primo giornale cattolico), ma anche dotato di una profonda spiritualità. John Henry Newman, anch’egli convertito, scrisse che Hecker faceva in America quel che lui stava facendo in Inghilterra.

Ebbene, tre anni dopo la sua morte (avvenuta nel 1888) William Elliott scrisse la biografia di padre Hecker, che fu tradotta in Francia e lì provocò profondi sommovimenti. I cattolici monarchici legati all’Ancien régime imputarono a quel testo, peraltro mal tradotto, di propagandare la separazione tra Chiesa e stato, che infatti è scritta nella Costituzione americana ma che in Francia stava avvenendo a colpi di anticlericalismo laicista. Inoltre gli spagnoli della Curia romana erano inviperiti con gli Stati Uniti che avevano soffiato loro Cuba con la guerra. E così su Hecker volarono accuse di pelagianesimo, di svalutazione delle virtù passive a scapito di quelle attive, di individualismo, di torsioni nazionalistiche della fede. Leone XIII fu costretto a intervenire e a condannare “l’americanismo” cui i vescovi americani si dichiararono estranei! Non a caso si parlò di “eresia fantasma”.

In realtà il fine di Hecker era stato quello di creare uno spazio cattolico alla tavola pubblica del “We the People” americano. E il paradosso è che allora furono i vescovi più innovatori a incoraggiarlo e difenderlo, mentre oggi sono i presuli americani più “conservatori” a lodarne l’azione. Il cardinale di New York Timothy Dolan ha di recente ottenuto che l’intera Conferenza episcopale statunitense chiedesse l’avanzamento della causa di beatificazione di Hecker, sigillo pontificio sull’esperienza cattolica made in Usa. Questione che dovrà passare alla fine nelle mani del Papa. Americano. Ma sui generis.

Leave a comment

Your email address will not be published.