C’è Vannacci, ma nei diari dell’ex ambasciatore a Mosca manca un caso personale e internazionale: l’incontro, poco prima dell’invasione dell’Ucraina, tra Putin e le imprese italiane a cui partecipò il fratello Francesco (Enel), nonostante il parere contrario di Draghi
La memorialistica è un genere letterario nobile, che ha anche un grande valore storico quando l’autore è un protagonista o spettatore privilegiato di eventi che hanno sconvolto il mondo. Si pensi, solo come esempio, ai sei volumi di Winston Churchill sulla Seconda Guerra mondiale che, tra l’altro, gli sono valsi il premio Nobel per la letteratura. Non è questo il caso de “La pace difficile”, sottotitolo “Diari di un ambasciatore a Mosca” (Mauro Pagliai editore), libro appena pubblicato da Giorgio Starace che, appunto, è stato ambasciatore italiano in Russia durante l’invasione dell’Ucraina.
Non bisogna lasciarsi ingannare dalla prefazione di Lucio Caracciolo, che parla di una ricostruzione “ricca di testimonianze inedite e illuminanti, come solo chi ha vissuto la svolta storica del 24 febbraio a contatto diretto” può fare. Quella è l’aspettativa. Ma purtroppo è delusa dalla lettura. Nei diari di Starace si parla a lungo di cose risapute, mentre vengono del tutto ignorate vicende parzialmente note che meritavano un approfondimento da parte del protagonista. Le uniche rivelazioni degne di nota riguardano le posizioni del generale Roberto Vannacci. Davvero poca roba.
Starace scrive che a febbraio 2022, pochi giorni prima dell’invasione, quando già Putin aveva schierato 150 mila uomini ai confini con l’Ucraina, ne discusse con il generale Vannacci – all’epoca addetto militare a Mosca – che escluse “un conflitto di vaste proporzioni”. Quando, pochi giorni dopo, Putin annuncia “l’operazione speciale” e una colonna di carri armati marcia verso Kyiv, Starace convoca una riunione d’emergenza in ambasciata per conoscere di nuovo il parere dell’esperto: “Il generale Vannacci usa un’espressione colorita: i russi entrano in Ucraina ‘come un coltello nel burro’ e in un paio di settimane avranno raggiunto Kiev e ottenuto la capitolazione di Zelensky”. Entrambe le previsioni si sono rivelate sballate: Vannaci vedeva il mondo al contrario e, in una certa misura, conforta che ora sia in politica anziché a occuparsi di sicurezza nazionale.
Questa è l’unica memoria degna di nota nel libro, il resto è superfluo o di dominio pubblico. Ben più rilevanti sono le omissioni. Un lettore curioso va certamente a leggere il paragrafo “Gennaio 2022”, ma la sua delusione sarà massima nel vedere solo una paginetta che parla dei sondaggi in Russia. Perché Gennaio 2022 è importante? In quel mese scoppiò un caso che coinvolse direttamente l’ambasciatore. Erano giorni molto delicati, le tensioni tra Occidente e Russia erano ai massimi livelli per la palese minaccia alla sovranità dell’Ucraina e in Italia era in corso l’elezione del Presidente della Repubblica. In quel contesto, in cui l’Europa discuteva di sanzioni contro Mosca, viene fuori la notizia di un incontro tra le principali imprese italiane e il presidente Vladimir Putin.
Il caso diventa internazionale quanto il Financial Times pubblica l’elenco dei partecipanti, tra i quali ci sono le aziende di stato. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, è in forte imbarazzo anche perché in quella fase l’Italia era considerata il ventre molle dell’Occidente, per i suoi storici buoni rapporti con il Cremlino. Palazzo Chigi, quindi, cerca di far saltare l’incontro ma, non potendo imporre nulla alle aziende private, chiama i vertici delle imprese pubbliche “suggerendo” di non presenziare a un incontro così imbarazzante. In effetti Marco Alverà di Snam, Francesco Caio di Saipem e Claudio Descalzi di Eni declinano l’invito di Putin. All’incontro del 26 gennaio però partecipa l’ad di Enel, Francesco Starace, incidentalmente fratello dell’ambasciatore italiano a Mosca Giorgio. Palazzo Chigi, ovviamente, aveva chiesto di non partecipare anche all’Enel che però “con atteggiamento sprezzante” – dice un testimone – aveva responto l’invito dell’azionista sostenendo che le preoccupazioni politiche del governo sull’invasione “erano infondate” (anche l’Enel, evidentemente, faceva affidamento sui pareri di Vannacci).
L’incontro con Putin, sette ministri del suo governo e i vertici dei colossi energetici come Rosneft, in una fase in cui l’Occidente doveva mostrare unità e determinazione, suscitò disappunto a Washington, a Bruxelles e nelle altre cancellerie europee. Oltre a Palazzo Chigi, dove riemersero le obiezioni sollevate all’epoca della nomina di Starace – nell’autunno del 2021 – sull’opportunità di scegliere come ambasciatore a Mosca il fratello dell’amministratore delegato di un’impresa energetica statale con importanti interessi in Russia e, quindi, in un potenziale conflitto d’interessi su scala globale, peraltro in una fase di tensione geopolitica e militare (quelle obiezioni erano poi state superate dalla forte insistenza sul nome di Starace del ministro degli Esteri Luigi Di Maio).
L’aspetto paradossale della vicenda è che di quell’incontro tra le imprese italiane e Putin non venne informato neppure Di Maio, il grande sponsor dell’ambasciatore. Secondo quanto scrissero all’epoca in un comunicato tre membri del Copasir – Enrico Borghi (Pd), Elio Vito (Fi) e Federica Dieni (M5s), quest’ultima esponente dello stesso partito di Di Maio – il meeting con Putin avvenne “all’insaputa della Farnesina”. L’ambasciatore italiano a Mosca che, come scrive nel suo libro aveva un così ottimo rapporto con Di Maio, non aveva avvertito il ministro degli Esteri.
Di questa storia così delicata, a livello personale per lui e internazionale per il paese, sarebbe stato interessante conoscere i dettagli che solo il protagonista può rivelare. Me nei “diari” di Starace non ce n’è traccia. Si tratta evidentemente di un nuovo genere letterario: non le memorie, ma le amnesie di un ambasciatore.