Approvata la legge partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese, nata su impulso di Via Po. Ma i dem confermano l’astensione. La segretaria della Cisl: “Amarezza per l’occasione persa da parte di un partito che dovrebbe avere nel proprio patrimonio genetico attenzione al mondo del lavoro e vocazione riformista”
“Amarezza per l’occasione persa da parte di un partito che dovrebbe avere nel proprio patrimonio genetico attenzione al mondo del lavoro e vocazione riformista. Farsi paladini del testo originale, che in realtà resta rispettato nei capisaldi, credo sia poi del tutto incoerente se si pensa che il Pd ha presentato più di 30 emendamenti alla Camera”. A dirlo al Foglio è la segretaria della Cisl, Daniela Fumarola, molto critica nei confronti del Partito democratico.
Ieri per la Cisl è stata una giornata storica. In Senato è stato definitivamente approvato il ddl sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese, nato su impulso proprio del sindacato di Via Po, che ha raccolto 400 mila firme. “Dopo 77 anni, l’articolo 46 della Costituzione trova finalmente attuazione grazie a una mobilitazione durata due anni”, esulta la segretaria Fumarola. Eppure il Pd, come aveva già fatto alla Camera, si è astenuto. E forse il significato politico della giornata sta tutto in questa scena: Annamaria Furlan, ex segretaria della Cisl ed ex senatrice del Pd passata a Italia viva nel corso di questa legislatura, che annuncia il sì dei renziani al testo. E dall’altra l’ex segretaria della Cgil Susanna Camusso che pronuncia inAula la dichiarazione di voto del Pd: astensione. L’ultima e decisiva occasione per riaffermare, se mai ce ne fosse ancora bisogno: noi preferiamo stare con la Cgil di Landini. Motivo? Il testo originario sarebbe stato “svuotato” dalla maggioranza. Lettura, come detto, contestata dalla stessa Cisl, che l’iter parlamentare l’ha attentamente seguito. “E’ stato fatto un ottimo lavoro e ringrazio la Cisl, oltre all’impegno sulle coperture finanziarie che ha visto il sostegno in prima persona del presidente Meloni. L’art. 46 coniuga l’elevazione sociale del lavoratore alle esigenze di produzione, per anni motivo di scontro, da oggi certamente molto meno”, dice al Foglio Walter Rizzetto (FdI), presidente della commissione Lavoro alla Camera che per prima si è occupata di esaminare il testo stilato dal sindacato. Del resto, nel Pd, l’addio della senatrice Furlan aveva fatto intuire quale fosse l’epilogo. Quando a febbraio il testo venne votato alla Camera, il Pd si astenne. Fu una soluzione di compromesso, perché la segretaria era per il no mentre i riformisti avrebbero voluto mandare un messaggio di riapertura di un dialogo nei confronti della Cisl. All’epoca ci pensò uno come il deputato Arturo Scotto, vicinissimo a Schlein, a chiarire come “nel merito restiamo contrari”. Anche Maria Cecilia Guerra, responsabile Lavoro del Pd, fu molto critica. Camusso ieri ha confermato tutto l’armamentario dialettico che ha portato il Pd ad astenersi. “La maggioranza, come al solito, non ha resistito alla tentazione di svuotare il provvedimento, stravolgendolo e rendendolo in gran parte inefficace, se non dannoso”, ha detto la predecessora di Maurizio Landini. A cui però non dovrebbero essere sfuggiti gli appelli rivolti fino a poche settimane fa dalla Cisl: “Confidiamo in un voto positivo del Pd al Senato”, disse al Foglio la segretaria Fumarola poco prima di Pasqua.
L’astensione su una materia che il Pd ha più volte inserito nel proprio programma elettorale, peraltro, potrebbe produrre strascichi non da poco all’interno del partito, sempre più lacerato sui referendum, in particolare sui quesiti che intendono abolire il Jobs Act. E che vede anche in questo caso la segreteria Schlein schiacciata sulle posizioni del sindacato rosso. Ieri il coordinatore dei riformisti Alessandro Alfieri, a proposito della consultazione referendaria, aveva detto: “Non voterò a favore dei quesiti sul Jobs Act mentre voterò sì agli altri quesiti. Penso che abbiamo bisogno in questo momento di battaglie che guardino al futuro e uniscano tutti, come sul salario minimo e sulla difesa della sanità pubblica, da fare in Parlamento e sul territorio”. Poi però nel voto in Senato, su una materia così legata al lavoro, il partito ha preferito guardare all’indietro. Una rottura con la Cisl che dal sindacato vedono con grande “amarezza”. Forse irreparabile.