Due Leoni da scacchiera. L’odi et amo della Chiesa

Robert Francis Prevost è il nuovo Papa Leone XIV, erede di una curiosa tradizione papale legata agli scacchi. L’altalenante rapporto tra Chiesa e scacchi, tra condanne, passioni e riscoperte

Robert Francis Prevost si affaccia dal balcone della loggia centrale della Basilica di San Pietro, è Papa Leone XIV. Un nome parlante – come quello di ogni pontefice – che raccoglie un portato storico di grande rilievo, fatto anche, forse sorprenderà, di scacchisti. Si pensi al suo predecessore e ispiratore, Leone XIII, al secolo Vincenzo Pecci, appassionato giocatore, e proprietario di una preziosa collezione di tomi scacchistici redatti da ecclesiastici. O ad un altro omonimo prima di lui, il Papa Medici Leone X, la cui passione per il gioco lo spinse a diffonderne il verbo e riabilitarne la reputazione. C’è da dire, che il rapporto degli scacchi con la Chiesa, e in particolare con quella cattolica, è sempre stato segnato da alti e bassi, da odi et amo, da neri e bianchi. Per un verso, infatti, gli ecclesiastici, rappresentando un’alta percentuale degli uomini di lettere europei, sono stati il ponte naturale del Vecchio continente verso quello che in tempi medievali era visto come un mero passatempo orientale, e sono stati i principali produttori di sapere scacchistico per secoli (anche se spesso i tomi scacchistici erano scaltramente usati come pretesto sofisticato per sermoni moraleggianti). Dall’altro, le autorità religiose sono spesso state scettiche nei confronti delle sessantaquattro caselle: siccome erano spesso associate ai dadi, o al gioco d’azzardo (ai puristi degli scacchi oggi può sembrare blasfemo, ma la cultura scacchistica era ancora in erba), finirono per essere soggette a numerose messe al bando.



Il primo Papa a vietare la pratica fu già Alessandro II, nell’Undicesimo secolo, persuaso da una lettera dell’allora vescovo di Ostia Pier Damiani. Nella famosa lettera si dice che il suo collega fiorentino avrebbe passato tutta la notte a giocare al “disonesto, assurdo e libidinoso” gioco, venendo meno ai suoi doveri religiosi. Nella sua invettiva Pier Damiani colse sapientemente un elemento essenziale: gli scacchi appassionano. Ogni scacchista, evidentemente anche un porporato, si lamenterà di non avere abbastanza tempo da dedicarci. O di dedicarne troppo. Dalla prospettiva del riformatore religioso è un pericoloso fattore di distrazione, dalla prospettiva del distratto è qualcosa di para-religioso. E Pier Damiani la sua partita finirà per perderla: in tempi poco successivi a Leone X sarà ufficialmente revocato ogni divieto, che pure già nei secoli precedenti non è stato mai veramente rispettato, e gli scacchi esploderanno in popolarità. Chissà se il nuovo Papa avrà voglia di giocare con re e alfieri (bishops in inglese, vescovi). Ha parlato di pace, ma potrebbe distrarsi con l’unica pacifica guerra.

La partita: Otto Georg Edgar Dehler,


composizione del 1921, “a dance of bishops”


In questo studio, il bianco sembra vicinissimo alla promozione a regina e alla vittoria, ma l’alfiere (bishop) nero si dimostrerà insidioso. Riesci a trovare la brillante sequenza per la vittoria?

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