Con le minacce di Trump i progressisti tornano a parlare di libertà e smettono di raccontarsi favole. Una lezione
E’ paradossale, ma forse non così sorprendente: a rimettere in moto il pensiero liberale è stato Donald Trump. Non con la persuasione, ma con la forza della minaccia. Non con un’idea nuova, ma con l’energia brutale delle tariffe, dei ricatti geopolitici, delle provocazioni identitarie. Il caso canadese di questi mesi lo dimostra in modo clamoroso. Di fronte al rischio concreto di diventare la “51esima stella” della bandiera americana, di perdere autonomia commerciale e politica, i liberali canadesi, guidati da Mark Carney, hanno capito che non bastava più predicare inclusività e sostenibilità: bisognava tornare a parlare di prosperità, sicurezza, libertà concreta.
Il Canada è stato, dopo la rielezione di Trump a gennaio, il secondo grande paese occidentale a rimettere ai voti il proprio destino. E il risultato, al di là di chi vincerà esattamente, racconta qualcosa che va oltre i confini nazionali. Racconta che, sotto pressione, la politica democratica può ancora rigenerarsi. Racconta che il pensiero liberale, quando costretto a scegliere tra il narcisismo dell’identità e la fatica del governo reale, può ancora scegliere il governo. Sotto la minaccia di un’America più aggressiva, il centro-sinistra canadese ha abbandonato l’autocompiacimento ideologico e ha riscoperto il linguaggio della crescita economica, dell’interesse nazionale, della moderazione sociale.
Non era affatto scontato. Dopo anni di scontri culturali e di slogan morali, la deriva sembrava irreversibile. Invece, grazie – o per colpa – di Trump, i progressisti canadesi hanno riscoperto che le elezioni si vincono parlando di case, salari, sicurezza, energia. Non predicando astratti codici di purezza. E che il popolo, quello vero, non si mobilita contro la paura di “offendere” qualcuno, ma contro la paura di perdere il proprio futuro.
La lezione non vale solo per Ottawa. In tutta l’occidente, mentre cresce la tentazione di chiudersi in egoismi tribali o di arrendersi a nazionalismi semplificatori, il Canada insegna che c’è un altro modo: quello di ripartire dal buon senso liberale, fatto di diritti, sì, ma anche di doveri; di apertura, ma anche di orgoglio nazionale; di rispetto delle differenze, ma senza sacrificare il principio di realtà. Trump, involontariamente, sta facendo ai liberali il regalo più grande: sta obbligandoli a smettere di raccontarsi favole e a tornare a fare politica.