Le donne nella Chiesa sono tantissime, ma non contano nulla

Da Papa Francesco tanti gesti simbolici e promesse, ma il peso della presenza femminile non è mai cambiato. Un’occasione persa

Nelle congregazioni che precederanno il prossimo Conclave per discutere della situazione della Chiesa, saranno presenti delle donne, in particolare delle religiose, con diritto di parola? Sarà questo il momento della verità, la prova che veramente, nel lungo pontificato di Francesco, qualcosa – per quanto riguarda il posto delle donne nella Chiesa – è cambiato.

Per ora non risulta, e di fatto continua il tradizionale disinteresse nei confronti della loro voce, del loro pensiero. Nessuna riunione di rilievo nella Chiesa prevede che ci siano relazioni di primo piano, o anche solo relazioni, di donne, religiose o laiche. Questa assenza prova come a loro sia riservato ancora un ruolo di mere esecutrici delle direttive dei superiori ecclesiastici, nonostante la presenza di qualche donna in posizione almeno in apparenza apicale della vita ecclesiale, alla quale in realtà le donne partecipano numerose, per esempio nelle parrocchie.

Le donne nella Chiesa ci sono, sono molte e fanno tantissimo. E oltre a lavorare, le donne nella Chiesa cattolica pensano. Scrivono, riflettono, propongono, discutono, stimolano. Eppure, ancora non contano nulla. Nonostante le parole pronunciate da Francesco fin dall’inizio del suo pontificato – anzi soprattutto all’inizio – e nonostante le sue promesse. Ma abbiamo visto spesso questo forte divario fra le parole audaci del Papa e la sua pratica di governo, e non ci stupiamo più che tanto. La sua è stata comunque una scelta efficace, perché fra dichiarazioni, gesti simbolici e decisioni almeno in apparenza coraggiose, anche per quanto riguarda la disgraziata condizione delle donne nella Chiesa circola una vulgata positiva, che celebra Francesco come grande innovatore.

Per i gesti simbolici Bergoglio ha dimostrato una notevole sensibilità: ha cominciato subito, infatti, il 28 marzo 2013, celebrando il Giovedì santo presso il carcere minorile di Casal del Marmo a Roma, quando lavò i piedi anche a due ragazze, una delle quali musulmana. Non era mai successo che un Pontefice scegliesse una donna per “interpretare” gli apostoli durante la messa “nella cena del Signore”. Nel 2014 sono state ben quattro le donne a cui Francesco ha lavato i piedi il giovedì santo, al centro Santa Maria della Provvidenza dell’istituto Don Gnocchi di Roma. E intanto diceva che “la donna nella Chiesa non può limitarsi a fare la chierichetta, la presidente della Caritas, la catechista. Deve essere di più, profondamente di più”. E anche: “Promuoviamo il ruolo delle donne. Se la Chiesa le perde, rischia la sterilità”. Del resto, quando parla – e l’ha fatto spesso – della sua famiglia, protagoniste sono le donne, in particolare la nonna Rosa, che ha sempre presentato come la figura più influente su di lui. E allontana ogni sospetto di misoginia parlando più volte delle sue fidanzatine, a cominciare dalla prima a dodici anni. Decisamente più seria quella successiva: Bergoglio aveva diciassette anni e la ragazza frequentava il gruppo di amici con cui il giovane Jorge Mario andava a ballare. L’avrebbe sposata, se non avesse sentito la vocazione. Perfino in seminario una ragazza lo colpì, arrivando a fargli dubitare della vocazione.

Nell’esortazione Evangelii gaudium, Papa Francesco ha dedicato diverse righe alla presenza femminile. “La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini. Ad esempio, la speciale attenzione femminile verso gli altri, che si esprime in modo particolare, anche se non esclusivo, nella maternità. Vedo con piacere come molte donne condividono responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti, danno il loro contributo per l’accompagnamento di persone, di famiglie o di gruppi e offrono nuovi apporti alla riflessione teologica. Ma c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa”.

E più avanti: “Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere”, e del resto “la configurazione del sacerdote con Cristo Capo – vale a dire, come fonte principale della grazia – non implica un’esaltazione che lo collochi in cima a tutto il resto. Nella Chiesa le funzioni “non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri”. Di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi”.

Le sue decisioni più importanti sono state a livello simbolico, entrambe legate al Giubileo della misericordia del 2015 (che si debbano considerare un atto di misericordia verso le donne?). Per quel giubileo il papa ha sospeso la norma che obbligava una donna che voleva confessare l’aborto, peccato gravissimo, a rivolgersi a un vescovo, o a un sacerdote appositamente delegato dal vescovo. In sostanza, a tale penitente era interdetta la possibilità – riconosciuta perfino a un assassino – di confessarsi con un sacerdote qualsiasi. Prova della terribile severità, della mancanza assoluta di carità, che la gerarchia ecclesiastica dimostrava nei confronti delle donne. Francesco l’ha prima sospesa e poi, per fortuna, abolita. Nonostante il pesante giudizio riservato all’aborto, da lui più volte paragonato all’uso di un sicario per risolvere un problema.

L’altra, il tardivo ma definitivo riconoscimento di Maria Maddalena come “apostola degli apostoli”, con la proclamazione, il 10 giugno 2016, della sua festa come obbligatoria per tutta la Chiesa. Finalmente Maddalena, sospettata per millenni senza alcuna prova di essere stata una prostituta, e quindi caricata di sospetto, è assurta all’empireo degli apostoli, aprendo almeno simbolicamente nuove possibilità per tutte le donne. Ma i media non se ne sono accorti, o quasi, mentre hanno accolto con grande entusiasmo l’apertura anche alle donne di due ministeri, l’accolitato e il lettorato (cioè la possibilità di leggere le sacre Scritture durante le liturgie e di servire all’altare), servizi che in realtà già praticavano da decenni. E’ stato poi aggiunto un altro ministero, quello della catechesi, anch’esso da decenni già in mano alle donne, e quasi sempre solo a loro.

Mentre le donne rimangono escluse dal ministero più importante, il diaconato, nonostante le religiose ne avessero fatto richiesta al Papa durante uno degli incontri internazionali con le superiore generali, e nonostante di fatto lo esercitino, specie nelle zone di missione, da lungo tempo. Sul diaconato infatti si è aperta una disputa teologica: il Papa ha istituito una commissione, che ha lavorato alcuni anni e che ha prodotto una relazione, rimasta segreta. Successivamente, è stata formata una nuova commissione, ancora al lavoro.

Nel frattempo Francesco ha cercato di accontentare le donne accordando loro alcune cariche negli organismi curiali e vaticani. Oltre diverse consultrici, ha nominato direttore dei musei Barbara Jatta, poi diverse sottosegretarie di dicasteri (Gabriella Gambino e Linda Ghisoni ai Laici, Carmen Ros Nortes alla Vita consacrata) e una segretaria alla commissione per l’America latina, Emilce Cuda; ha affidato la direzione teologico-pastorale del dicastero della Comunicazione a Nataša Govekar (benché parte del discusso gruppo di religiose che vivevano accanto a Marko Rupnik, accusato pesantemente di abusi sessuali); ha nominato Christine Murray vice direttore della Sala stampa e soprattutto suor Nathalie Becquart sotto-segretario del Sinodo. Più recenti le nomine più importanti: suor Simona Brambilla, prefetto del dicastero per la Vita consacrata, e suor Raffaella Petrini, presidente del Governatorato.

Una pioggia di nomine che vedono donne sole in mezzo a una schiacciante maggioranza di ecclesiastici, dai quali del resto sono state scelte come competenti ma, soprattutto, come obbedienti. Per tutte vale la certezza che non protesteranno mai, che non porranno mai questioni scottanti, come le onnipresenti molestie sessuali nei confronti delle religiose da parte di ecclesiastici. Anzi, per essere proprio sicuri che ciò non accada, la nuova prefetta per la vita religiosa, suor Brambilla, è stata affiancata da un irrituale pro prefetto che, guarda caso, è anche un cardinale, quindi superiore alla suora, Ángel Fernández Artime.

Anche per gli abusi sessuali sulle religiose vale lo stesso metodo scelto per gli abusi sui minori: a parole condanna durissima, ma nella pratica silenzio e nascondimento, ove possibile. Nel caso delle donne si preferisce classificare la questione come una trasgressione del voto di castità piuttosto che come un abuso sessuale e di potere. Lo prova un fatto a ben vedere incredibile. Nel convegno sugli abusi sessuali organizzato da Bergoglio nel 2019 – in origine centrato solo sui minori – in extremis è stata fatta parlare anche una suora vittima di abusi. Ha narrato, davanti alla folta platea in Vaticano, una storia di minacce e di abusi, e perfino di ben tre aborti ai quali era stata costretta dal prete abusatore, che la ricattava minacciando violenze sulla sua famiglia. Non solo, negli atti pubblicati, la suora è rimasta anonima, senza specificare in quale paese la violenza sia avvenuta, in modo da impedire qualsiasi sospetto sul prete. Una storia tanto terribile, che comprende per di più ben tre aborti, come sappiamo considerati peccato gravissimo, non ha suscitato alcuna reazione. Tutto è passato sotto silenzio. Finché la voce delle donne che denunciano gli abusi non sarà ascoltata, la loro situazione nella Chiesa rimarrà sempre destinata alla sottomissione e al sopruso. Forse non le faranno parlare alle congregazioni precedenti il Conclave per paura che finalmente denuncino, e sostengano la necessità di fare giustizia.

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