La band anni Novanta torna con un tour nei club e con il nuovo singolo “Nazisti dell’Illinois”, ispirato dai Blues Brothers e da Trump. “Il fascismo dell’olio di ricino non c’è più, ma il pericolo è la democrazia che scivola nell’autoritarismo. Le cover di ‘Un’estate fa’ e ‘Se telefonando’? Diamo la nostra interpretazione”
Nel 1964 George Lincoln Rockwell, fondatore del Partito Nazista Americano, si candida alle elezioni per la presidenza degli Stati Uniti ricevendo un totale di 212 voti. Tre anni più tardi muore a causa di alcuni colpi di pistola sparati in prossimità del Dominion Hills Centre di Arlington, in Virginia. Con ogni probabilità la sua figura ispira una delle scene più iconiche del primo film dei Blues Brothers. Nel loro viaggio per rifondare la band, i fratelli Jake e Elwood, interpretati da John Belushi e Dan Aykroyd, si imbattono in una manifestazione del “Partito Socialista Americano dei Bianchi” che blocca un ponte sul quale devono passare con la loro leggendaria automobile. “I Nazisti dell’Illinois, pff”, sbuffa uno dei bluesman. “Io li odio i Nazisti dell’Illinois”, ribatte l’altro. Così i due strampalati musicisti, spazientiti, superano la fila di macchine e lanciano la Bluesmobile a tutta birra contro i nazi, costringendoli a gettarsi in acqua per non essere investiti.
Da quella scena nasce il nuovo singolo dei Delta V, creatura musicale di Carlo Bertotti e Flavio Ferri che oggi vede alla voce Martina Albertina, detta Marti. Famoso per aver reinterpretato in chiave personale cover come Un’estate fa e Se telefonando, il trio sarà in tour con 10 date nei club a partire dal 9 maggio per celebrare i primi trent’anni di vita. Si parte da Genova per poi toccare le città di Bergamo, Milano, Vicenza, Udine, Asti, Biella, Modena, Pistoia e Pisa. “Il nostro brano Nazisti dell’Illinois è uno spaccato di vita reale”, ci racconta la band, “e ci ricorda che dietro a quella messinscena tra farsa e grottesco, in realtà dei legittimi eredi sono già in circolazione”.
Chi sono oggi i “Nazisti dell’Illinois”?
Sono i suprematisti, i revisionisti, gli haters della rete. Chiunque porti un pensiero all’estremo per radunare persone.
E dove si trovano?
Il nazista oggi non va identificato sotto uno stemma o un’ideologia ma rappresenta un mondo che si sta chiudendo molto velocemente.
Vi riferite ad esempio a Donald Trump?
Nel suo essere grottesco Trump ti fa pensare. Oggi i nazisti che conosciamo noi, quelli degli anni Quaranta, non esistono più. Non esiste più il fascismo dell’olio di ricino o della marcia su Roma. Ma in generale ci preoccupa lo scivolare delle democrazie verso l’autoritarismo.
Per questo continuate a dare un ruolo politico e sociale ai vostri brani?
Volevamo disegnare una prospettiva reale di vita anche in questa canzone. E raccontare quello che ci passava accanto. Non so se siamo riusciti a dare quella sensazione di mancata appartenenza che oggi proviamo.
Tra l’altro a breve sarà il 25 aprile e voi avete lavorato al documentario “Gli Ultimi” con diverse testimonianze della Resistenza.
Abbiamo intervistato alcune persone che ora non ci sono più. Loro erano gli ultimi per davvero. La memoria richia di perdersi quando mancano le testimonianze dirette. E le loro sono state impagabili.
Nel 2018 c’è stato il debutto con l’attuale cantante Marti. Come mai siete rimasti fedeli ancora una volta a una voce femminile?
Ogni tanto ci siamo chiesti se volevamo cantare noi due. Ma abbiamo sempre sentito i provini cantati da voci femminili e ci sembrava che assumessero una profondità diversa e ci rappresentassero su più dimensioni.
“Se telefonando”, “Un’estate fa”, “Ritornerai”. Il vostro successo è nelle cover. Come nasce questo amore?
Noi nasciamo come producer e remixer, abbiamo sempre cercato di dare alle canzoni una nostra interpretazione. Come facevano d’altronde i cantanti italiani negli anni Sessanta, loro riprendevano canzoni di altri.
Ma perché, tra le altre, avete deciso di rifare proprio “Io sto bene” dei CCCP?
Abbiamo preso il testo e lo abbiamo musicato in maniera totalmente differente. Poi l’abbiamo fatta sentire a Massimo Zamboni. E poi a Giovanni Lindo Ferretti: lui ci ha risposto che non c’entrava nulla con l’originale e per questo motivo ci si ritrovava.
In questi trent’anni di musica invece c’è stato qualcosa che vi ha fatto storcere il naso?
Quando è uscito Monaco ’74 nel 2001 avevamo preparato una versione dell’album anche in inglese ma per questioni burocratiche tutto si è arenato. Ci tenevamo molto. Quell’episodio ci ha segnato, è stato l’inizio di una crisi che di fatto ci aveva portato a smettere.
Ora però vi preparate a tornare in tour. Come saranno i live?
Nei nostri show combiniamo i nostri grandi amori musicali, gli ascolti che ci hanno ispirato e formato, e li mixiamo con i brani dei Delta V. Dai Japan alle chitarre di Johnny Marr, dalle strofe di John Foxx e Gary Numan fino ai Genesis.