Giocare a calcio con la fisica delle particelle. I segreti del Liverpool

Dal bosone di Higgs al Cern al reparto ricerca di una delle società calcistiche più importanti d’Inghilterra. L’utilizzo dei dati e l’evoluzione del calcio, sotto la guida di William Spearman

Il calcio è arte, certo, ma è anche scienza. E se avete un dottorato in una disciplina scientifica, ma la carriera accademica non vi entusiasma, niente paura: c’è sempre spazio per mettere il vostro talento al servizio del gioco più bello del mondo.

È questo quello che è accaduto a William Spearman, un PhD in fisica delle particelle (ottenuto a Harvard), attualmente direttore della ricerca del Liverpool. Spearman si era già fatto notare nel 2016 quando, durante l’annuale meeting di Opta, aveva inviato una proposta che permetteva di capire quali giocatori controllassero determinati spazi sul terreno di gioco. Pochi anni dopo, Spearman (che in precedenza aveva lavorato alla scoperta del bosone di Higgs al Cern) è come detto diventato il numero uno del reparto ricerca di una delle società calcistiche più importanti d’Inghilterra. Per comprendere come sia avvenuto questo passaggio dobbiamo rifarci all’esplosione nell’utilizzo dei dati che ha accompagnato l’evoluzione recente del calcio.

All’inizio di questo fenomeno, i dati a disposizione delle squadre erano i cosiddetti dati evento. Si tratta di tutti quei dati (passaggi riusciti, dribbling tentati, tiri fatti…) che vengono catalogati da personale specializzato all’interno delle compagnie che forniscono suddetti dati alle società che li richiedono.

Negli ultimi anni invece si sta andando sempre più nella direzione dei tracking data (lett. dati di tracciamento) che vengono rilevati da telecamere fisse in grado di e di quantificare tutto quanto viene da loro fatto in campo, soprattutto senza palla. Quest’ultimo aspetto diventa tanto più importante se consideriamo il fatto che un calciatore, durante una partita, ha il pallone fra i piedi per un tempo medio bassissimo. Il che significa che la maggior parte di ciò che fa sul terreno di gioco lo fa senza essere in possesso diretto dell’attrezzo (cioè appunto della palla).

Dati fondamentali come la distanza percorsa in campo, la velocità media e massima, il posizionamento medio, le pressioni portate sugli avversari… sono tutti dati di tracciamento. Per anni i club che hanno utilizzato i dati hanno fatto riferimento a quelli evento o, al massimo, a quelli che misuravano la prestazione fisica del singolo.

Ora invece, nella nuova era, i tracking data consentono di misurare quello che accade lontano dalla palla, con conseguenze sul piano tattico. Così, ad esempio, una squadra che fa del pressing la sua arma di difesa privilegiata, avendo a disposizione il dato medio delle pressioni portate dal giocatore X e da quello Y per 90 minuti di gioco potrà più facilmente preferire il calciatore più funzionale al proprio sistema di gioco.

Il modello di Spearman, costruito a partire dall’analisi del comportamento delle particelle subatomiche nello spazio, è stato quindi facilmente (almeno per lo statunitense) trasportato in un campo di calcio dove, al posto delle sopra citate particelle, vengono invece considerati i ventidue giocatori.

L’anno dopo aver presentato il suo modello, Spearman è tornato a Opta con un nuovo progetto che, sfruttando i dati a disposizione, consentiva di determinare chi poteva effettuare o ricevere un passaggio. In pratica, col nuovo modello è possibile misurare le qualità di un giocatore nel passare la palla, riceverla o nell’intercettare un passaggio.

Mentre i dati ricavati dall’evento danno l’idea di ciò che è già accaduto sul campo (e dipendono sempre dall’occhio umano di chi li rileva), con i tracking data è possibile misurare in modo oggettivo anche quello che sarebbe potuto accadere. Questo permette ad esempio di valutare l’impatto di un calciatore che magari non ha ricevuto la palla, ma si è comunque saputo smarcare in una zona utile. Tutto ciò ha ricadute sul mercato: è grazie ad un approccio data-driven che il Liverpool negli ultimi anni ha voluto acquisire le prestazioni di elementi del calibro di Mohamed Salah, Andrew Robertson, Sadio Mane e Diogo Jota.

Quando invece i Reds hanno voluto deviare da questo modello, affidandosi maggiormente all’occhio del tecnico (nelle ultime fasi della gestione di Jürgen Klopp) ad Anfield è arrivata una delusione come Darwin Nunez. Partito l’allenatore tedesco, il club del Merseyside è tornato a fidarsi dei dati. Il risultato? Una Premier già in cassaforte a poche giornate dal termine.

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