Oltre la criminale parentesi di Salò. Chi erano i combattenti della X Mas

Nel suo recentissimo “Incursori del Re”, Alfio Caruso spezza l’identificazione della storia della X Flottiglia Mas con quella del suo periodo più efferato di lotta antipartigiana. I suoi uomini erano soldati italiani che avevano combattuto con coraggio al servizio del Re e della patria

Come in ogni suo precedente libro, anche in questo suo recentissimo “Incursori del Re” (Neri Pozza, 2025), il giornalista e scrittore siciliano Alfio Caruso scava ben bene e racconta con eleganza. E’ in ballo un pezzo di storia italiana fra le più drammatiche, la vicenda della X Flottiglia Mas (acronimo di Mezzi d’assalto subacquei), una denominazione che i più conoscono perché riferita a una formazione militare tra le più feroci di quelle che combatterono dalla parte di Salò tra 1943 e 1945.

Fu guidata fin dal 1° maggio del 1943 dal principe Junio Valerio Borghese (nato ad Artena nel 1906, morto a Cadice nel 1974), che fascistissimo lo rimase sino all’ultimo giorno della Seconda guerra mondiale e anche dopo, tanto che da lui prende il nome il tentativo di un seppur risibile colpo di mano tentato dai fascisti italiani nel 1970 e passato alla storia come “golpe Borghese”. All’indomani della fine della Seconda guerra mondiale, Borghese venne arrestato dal nuovo governo italiano. Era accusato di avere ordinato la fucilazione di almeno 43 partigiani catturati dai suoi uomini. Il processo a suo carico, per dirla con Giorgio Bocca, si trasformò in una “burletta”, a cominciare dal fatto che il presidente della Corte d’Assise era un vecchio amico della famiglia Borghese e che nel collegio giudicante c’erano degli ex fascisti calzati e vestiti. In più Borghese era tenuto in alta considerazione dai servizi segreti americani dell’immediato dopoguerra, che apprezzavano eccome le sue potenzialità di fervente anticomunista. Il 17 febbraio 1949 Borghese fu condannato per “collaborazionismo”. Fatto è che venne quasi immediatamente amnistiato e scarcerato.



Scopo di Caruso è quello di spezzare l’identificazione della storia della X Mas con quella del suo periodo più efferato in chiave antipartigiana. Nel suo libro Caruso tiene a far valere l’inaudito coraggio dei combattenti della X Mas al tempo in cui noi eravamo purtroppo alleati dei tedeschi, il tempo in cui gli uomini della X Mas erano soldati italiani al servizio del Re e della patria. Il loro era un inaudito coraggio testimoniato dall’ingente bottino in medaglie d’oro e d’argento al valor militare che si guadagnarono dal 1940 al 1943, quando erano stati “incursori del Re”, ossia combattenti a tutto tondo dell’esercito italiano propriamente detto.


“Di veri e propri fascisti nella X Mas ce n’erano quattro e non uno di più”, mi dice Caruso a farmi capire meglio l’intento del suo libro: restituire l’onore a uomini che rischiarono il tutto per tutto in nome della bandiera italiana. Gli stessi inglesi durante la guerra apprestarono più volte delle cerimonie funebri in onore dell’eroico sacrificio di alcuni di quei combattenti, che con il loro coraggio avevano cercato di supplire al dislivello tecnologico tra la nostra flotta e la flotta inglese operante nel Mediterraneo. E’ una guerra che non avevamo voluto e al cui esito positivo credevano in pochi. Basti pensare che di portaerei non ne avevamo neppure una, e sarebbe stata quella una delle armi cruciali nel decidere le sorti della Seconda guerra mondiale. Così come non avevamo il radar né gli aerosiluranti. Per sovrappiù l’industria cantieristica italiana era troppo lenta nel produrre i mezzi navali che sostituissero quelli perduti in combattimento. “Uomini contro corazzate”, per dirla con Caruso. Abbiamo, o meglio avremo, perché quelli a disposizione all’inizio della guerra sono di vecchio tipo, i siluri subacquei che partono da sott’acqua per arrivare addosso a quei mostri d’acciaio. I cosiddetti “maiali” che ci penseranno i sommergibili (ne avevamo la bellezza di centoundici) a trasportare sul luogo del delitto, le munitissime roccaforti inglesi di Gibilterra, Malta, Alessandria. E abbiamo uomini di mare impavidi nel guardare la morte in faccia, uomini che non dobbiamo confondere con i fascisti più o meno fanatici.

Conserviamone la memoria, ci mancherebbe altro. La memoria di Gino Birindelli, Fiorenzo Capriotti, Luigi Ferraro, Luigi Durand de la Penne, Teseo Tesei e di molti altri della loro generazione cui toccò affrontare i poderosi cannoni britannici e non, come avvenne alla mia, di interrompere polemicamente le lezioni dei professori universitari che giudicavamo non sufficientemente di sinistra.




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