Un contratto con l’indeterminatezza che si è preso ogni campo. Le alleanze sono transitorie, così come le relazioni e le tendenze: è la forma-epoca, lo stare nel mezzo. “Abbiamo sempre barattato un po’ di felicità per un po’ di sicurezza” diceva Freud. Ma ora abbiamo rinunciato a entrambe
Qui il vero cambiamento epocale è piccolo, e riguarda le abitudini. Prendi la vita di chiunque, cos’è cambiato? E’ cambiato che a intervalli regolari – ogni ora – almeno un paio di minuti si perdono dentro il flusso dei social. Nel bel mezzo di altre cose, spesso pratiche, il lavoro, la fila al supermercato, ogni tipo di attesa, ti immergi in quel liquido strano fatto di informazioni casuali, commenti, arrabbiature, foto. I social. Dove leggi quello che qualcuno, estraneo o no, ha scritto. Capita quello che capita, non esiste un ordine. Una successione di oggetti sintattici in libera lettura e associazione (il feed). Proprio quel piccolo flusso, osservato con tendenza ad aumentare nel tempo con un salto (n+1) esponenziale, ha generato quelli che siamo da quindici anni. Le psicosi, i tic, le nuove forme di depressione, la nuova fama, i nuovi mestieri, la nuova pubblicità, la pigrizia sessuale, le nuove relazioni, la nuova politica.
Ogni tanto nel flusso trovo quelle che chiamo fesserie rivelatrici. L’altro giorno era la frase: “It’s complicated walked so situationship could run”. E’ la riduzione in eccellente sinossi di quello che è successo alle relazioni, it’s complicated era uno degli stati sentimentali disponibili su Facebook agli esordi. It’s complicated significava tutto e niente: intanto era un’anomalia. E’ complicato, e preferirei che fosse semplice. Questo voleva dire.
Oggi quel modo di stare – schiacciati nel non saper come fare a farsi riamare – si è alleggerito, ed è diventata la situationship. Che non è più uno stato sentimentale in bilico, un mal di capo, una iattura, il problema da risolvere. E’ faccenda comune. Ce l’hanno tutti. E’ possibile, è frequente, e quindi è tollerato, è normale la relazione senza relazione, l’amore senza l’amore. Siamo qualcosa più di zero – sì, ma che?
Abitudine all’attesa come forma di adattamento della specie. Non definire – meglio: non muoversi – è diventata un’abilità, e si percepisce più sensato del contrario, cioè non avercela, la situationship, o rassegnarsi a cercare altro perché tanto non funzionerà. Il vecchio amore non corrisposto, per intenderci. Ci sono stati tempi in cui chiamavamo le stesse cose con altri nomi, e quei nomi di allora mi sembrano ancora migliori. Nemmeno c’è da stupirsi. Dappertutto l’ambiguità è diventata il metodo. Trump ha creato una situationship con la democrazia che non sta dando troppi segni di cedimento. E’ normale annuire ai compari dell’attentato in Campidoglio ed essere rieletti lo stesso? E’ normale svegliarsi una mattina, sovvertire l’ordine economico mondiale, far rimbalzare i mercati sottozero per sfizio, per prova di forza? Lo stesso schema si ripete pure da noi. Schlein e Conte. Calenda e Meloni. Diritti astratti e diritti concreti, chi offre cosa, chi votiamo? Certo, se andassimo a votare, ma tanto non ci andiamo più.
La situationship non dà più fastidio, ha smesso di essere disfunzione. E’ un lentissimo avvelenamento di “vi potete abituare”, il grande trionfo del “vediamo come va”, con giusto qualche risveglio polemico. Per esempio “commentiamo Adolescence” o “commentiamo la sentenza Turetta”. Le altre cose andassero da sole, se ci vogliono andare. Come finirà? Non finirà. Perché la situationship prevede solo una serie infinita di pause e poi rilanci, sparizioni e sistematici ritorni. E’ vero, è vero, siamo sempre al solito Bauman, si obietterà. A ragione. Le strutture si dissolvono, i legami si sciolgono e si fanno liquidi (2003): “Nelle relazioni moderne la durata è vista più come un ostacolo che come un valore”. Va bene, ora però ci siamo adagiati, comodi, ce lo siamo fatto piacere, com’eravamo è un ricordo lontanissimo. E’ una brutta postura culturale che si va facendo gobba. E’ una questione di definizione, di resistenza alla definizione. Serve scollarsela.
Il vecchio “It’s complicated” almeno prevedeva il desiderio di spiegarsi. La situationship rinuncia pure a quello. Abbiamo firmato questo contratto di indeterminatezza che si è preso ogni campo. Le alleanze sono transitorie, i progressi della medicina sono diventati materia di opinione pure del quisque, nelle professioni si collabora, oggi sì ma domani me ne vado da un’altra parte. La comunicazione è la scienza di non dire niente. La celebrità, i quindici minuti, si sono frantumati in pezzi ancora più piccoli, ogni tre mesi abbiamo un nuovo cantante più famoso del mondo che tra sei mesi non ci ricordiamo. E’ la forma-epoca: lo stare nel mezzo. Freud aveva fatto una prognosi troppo ottimista. Era l’inizio del novecento, e le sue conclusioni erano tutto sommato carine. Così funzionava: “Abbiamo sempre barattato un po’ di felicità per un po’ di sicurezza”. Ora è finita la felicità, poi è finita pure la sicurezza. E nemmeno si può chiedere al paziente (noi): “Qual è il suo problema?”. Perché quale non è?