Una mostra alla Galleria Silva celebra il pittore bergamasco, noto per le sue iconiche lavatrici e Ferrari oniriche, che raccontano con ironia e colore il boom economico italiano. In un’epoca di sovraesposizione social, l’arte autentica e visionaria di Pasotti emerge come antidoto al consumo effimero del contemporaneo
A Brera, “queen” dei quartieri che hanno ospitato le installazioni del Fuorisalone (da cui la città si sta riprendendo come dopo una grande abbuffata: 360 mila visitatori, +17 per cento rispetto lo scorso anno), c’è modo di capire che cosa sia stata la Pop Art in Italia prima di finire nel grande calderone del social in cui vale tutto. Gli spazi eleganti della Galleria Silva di via Borgospesso ospitano infatti una ventina di opere di Silvio Pasotti, decano dell’arte pop made in Italy che ha ritrovato l’energia di rimettere in mostra le sue Ferrari, le ville stupefacenti, i nudi di donna, in una carrellata di una ventina di opere, tra pitture e vasi, simbolo di un’epoca di magnifiche e progressive sorti.
Come un bergamasco, classe 1933 e forgiato all’Accademia Carrara dal rigore di Achille Funi, sia diventato il massimo pittore di elettrodomestici (le sue “lavatrici”, inquietanti presenze domestiche, sono conosciute in tutto il mondo, corrispettivo italico delle Campbell’s Soup di Warhol) dimostra ancora una volta che nel ventennio Sessanta-Ottanta tutto era davvero possibile. E così Pasotti, in una Milano albergata dalle avanguardie concettuali (vedi alla voce Merda d’artista di Piero Manzoni), decide di cavalcare il boom economico e di rappresentarlo con dovizia su tela, in un misto di incanto e di sarcasmo. Ne esce una pittura pop(olare) che esplora in particolare il mondo della moda e quello dei motori, fashion & races, si direbbe oggi. Pasotti confeziona una galleria di ritratti di stilisti del made in Italy da Gianfranco Ferrè a Valentino, da Krizia a Giorgio Armani, cui l’opera è tanto piaciuta da volerla acquistare e inserire nella sua corposa collezione privata. L’alta moda e l’arredamento, con spunti tratti dalle riviste del tempo o semplicemente osservando il mondo nei suoi numerosi viaggi (Francia, Spagna) sono i protagonisti della Pop Art onesta di Pasotti. “Per me essere pop significa sentirmi libero di raccontare in modo creativo il mio vivere. Le mie opere nascono dall’esigenza di comunicare ciò che osservo e la libertà che ancora oggi mi guida (Pasotti ha ancora un atelier a Milano dove è attivo, ndr) continua a rendere la mia vita un lungo viaggio pop”, ha raccontato al Foglio.
Davanti alle grafiche e alla miriade di oggetti pop-accomodati che ci sono passati davanti agli occhi durante la Design Week solo per finire in un reel sui social che dopo una settimana è già vecchio, l’arte di Silvio Pasotti occupa fieramente il suo spazio nella storia dell’arte contemporanea. Quel che furono negli anni Sessanta le lavatrici, oggetto-icona di un presente che sembra futuro, negli anni Novanta diventano le gagliarde Ferrari, che il Pasotti si è divertito a dipingere negli scenari più assurdi. La passione per le rosse di Maranello – racconta – è diventata ancora più forte dopo la morte di Enzo Ferrari, nel 1988: le auto da corsa per quasi un decennio si trasformano nelle protagoniste assolute dei dipinti, spesso immortalate in scenari onirici o magici (il nostro preferito: la Ferrari nel Teatro Olimpico di Vicenza di Andrea Palladio). Passata l’infilata di Art Week e Design Week, dove ogni cosa è diventata evento (inclusa la colazione-flash mob con Maurizio Cattelan davanti al Duomo), riscoprire Silvio Pasotti, la sua cura nel disegno e la maestria nel colore, potrebbe essere un salutare esercizio di disintossicazione dal mainstream contemporaneo, per un’immersione nel vero Pop.