Leggendo Flannery O’Connor

Dai venditori di salvezza ai corpi deformi, fino alle donne sciocche e smarrite in una tenuta della campagna segregazionista. L’umorismo della scrittrice statunitense si sprigiona dall’intollerabilità, e deforma i personaggi fino alla caricatura

Il cattolicesimo, che nell’800 rischiava di azzoppare l’arte, in un XX secolo inibito dall’Inumano e dall’Assurdo ha viceversa ridato ossigeno alla psicologia, alla quotidianità, allo spirito – e quindi alla narrativa. Così in Greene, in Mauriac e Bernanos, in Soldati e in Piovene, è divenuto una fonte di romanzesco e magari di poliziesco, o di certe analisi del sadismo in cui eredità pie e libertine fanno tutt’uno. A un estremo di questo spettro cattolico c’è l’umorismo dell’inglese Chesterton, e all’estremo opposto l’umorismo della statunitense Flannery O’Connor, che il 25 marzo scorso avrebbe compiuto cent’anni. Nella sua breve vita, O’Connor ha lasciato un’opera che è tra le maggiori del Novecento. Se la forma del romanzo appare spesso inadeguata alla sua ansia di raggiungere subito il parossismo drammatico o la verticalizzazione simbolica, nei racconti si contano molti capolavori. Sono pezzi tragicomici, in cui l’umorismo si sprigiona dall’intollerabilità.

La violenza escatologica deforma i personaggi fino alla caricatura, come la gravitazione troppo vicina di un pianeta gigantesco. Sfoglio l’edizione Bompiani che li raccoglie tutti, e ritrovo alcune situazioni ricorrenti. Ecco i venditori di salvezza, imbroglioni che non si sentono nemmeno ipocriti, perché la predicazione con truffa è per loro una vendetta sul mondo. Ecco i corpi deformi, i battesimi fatali, i maschi torvi e immaturi e le donne sciocche, proterve, smarrite in una tenuta della campagna segregazionista, sotto la palla biblicamente infuocata del sole. Ecco i branchi di ragazzini esclusi, che fingono di non volere niente e si prendono tutto, come in “Un cerchio nel fuoco” e “Gli storpi entreranno per primi”. Ecco le parabole sui tentativi pedagogici disastrosi d’imporre una virtù moderata e laica a giovani randagi, che dietro le bugie luciferine celano una conoscenza precoce delle verità più estreme. Ecco i ventenni che si credono intellettuali, e invece devono accettare lo squallore della loro realtà (“Malattia mortale” e “La festa delle azalee” sembrano racconti di Brancati trapiantati agli antipodi). Ecco, infine, i vecchi e i bambini, che si sfidano a morte come nella “Veduta del bosco”.

Chi ha conosciuto il kitsch religioso e il silenzio stordente, la furbizia avida e la demenza dolorosa della vita rurale a qualunque latitudine, nella voce di questa scrittrice sente un’aria di famiglia. In O’Connor chi è umiliato è maligno, e c’è sempre un capro espiatorio. Leggerla è come leggere insieme Arturo Loria e Federigo Tozzi: timore e tremore, bruttezza dell’umano, possessione diabolica, incarnazione del divino nell’animale, grottesche superstizioni indistinguibili dalla via di Damasco… Il riassunto più rappresentativo sta forse in “Rivelazione”. Qui nella sala d’aspetto di un medico è raccolto un campionario di umanità o’conneriana: femmine dai capelli di stoppa, infanti col moccio, madri sciatte e razziste, e la signora Turpin, un donnone soddisfatto di sé, una filistea però disarmata nella sua rozzezza, e aperta al mistero.

Una ragazza grassa come lei, ma abbrutita dallo studio, la fissa con l’ostilità inumana di chi ti conosce da sempre. A un tratto le lancia addosso un libro, inizia a dibattersi come un’indemoniata, e intercettandone lo sguardo le dà della scrofa, della creatura infernale. E’ qui la rivelazione: dietro quegli occhi si nasconde per la Turpin un’entità celeste. Davanti a una giustizia ingiusta ma inappellabile, è stata condannata. Così, di ritorno alla fattoria, si giustifica coi lavoranti di colore come Giobbe con gli amici, e tiene un’orazione alla legione dei suoi maiali. Purtroppo oggi gli esteti nostrani, che mischiano ben altrimenti Bibbia e fumetto, America violenta e cattolicesimo apocalittico, confondono questa intensità con la retorica di Cormac McCarthy.

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