Si temeva che la premier potesse essere, come il primo ministro ungherese, un grimaldello nelle mani di Putin o di Turmp per scardinare l’Europa. Si è rivelata, invece, un ponte tra Washington e Bruxelles
Il timore di molti a sinistra e l’auspicio di alcuni a destra (soprattutto nella Lega) era che con la missione a Washington Giorgia Meloni avviasse un negoziato bilaterale con Donald Trump, scavalcando l’Europa. Che strappasse qualche beneficio o privilegio per l’Italia, assecondando l’idea trumpiana di smembrare l’Unione europea. La realtà ha mostrato che è accaduto l’esatto contrario: Meloni si è rivelata un inaspettato asset dell’Europa nel difficilissimo negoziato con gli Stati Uniti.
Il risultato più importante del viaggio in America è l’invito di Meloni, accettato da Trump, a compiere nel prossimo futuro una visita ufficiale in Italia che, come recita il comunicato congiunto Usa-Italia, dovrebbe prevedere anche “un incontro tra Stati Uniti ed Europa”. La formula è molto vaga ma, se unita alla convinzione del presidente degli Stati Uniti sul fatto che troverà “al 100 per cento” un accordo commerciale con l’Unione europea, apre uno spiraglio a una trattativa che sembrava ormai su un binario morto. Per molte settimane, anche prima del cosiddetto Liberation day che ha annunciato gli abnormi “dazi reciproci”, il dialogo tecnico politico tra il Commissario Ue Maroš Šefcovic e il segretario al Commercio Usa Howard Lutnick non ha portato a nulla: l’acquisto di più gas, un accordo sulle norme e sulle barriere non-tariffarie, la riduzione dei dazi sulle auto, la proposta di un azzeramento reciproco delle tariffe sui beni industriali… nulla di quanto proposto dall’Ue è stato preso in considerazione, anche perché non è ancora chiaro cosa voglia la Casa Bianca.
L’incontro organizzato da Meloni, che probabilmente potrebbe mettere allo stesso tavolo, per la prima volta, Donald Trump e Ursula von der Leyen, segnerebbe una svolta politica alla trattativa commerciale, rimettendo peraltro al centro l’Europa. Non è un esito così scontato. Sia perché Trump finora ha sempre snobbato Von der Leyen, non considerando l’Ue come un vero interlocutore politico; sia perché in Europa il rapporto di Meloni con il presidente degli Stati Uniti è stato sempre visto con molta diffidenza. Soprattutto, dopo che Trump ha scaricato l’Ucraina, attaccato l’Unione europea e scatenato la guerra commerciale a colpi di dazi, la figura di Meloni – che era stata l’unico capo di governo a presenziare all’Inauguration day di Trump – si era un po’ appannata a Bruxelles e nelle cancellerie europee. Anche la sua strategia attendista, contraria alle ritorsioni e all’escalation dei controdazi, era vista con sospetto quasi fosse un segno di accondiscendenza nei confronti di Washington.
Poi questa strategia, dopo la sospensione reciproca di alcuni dazi, è diventata prevalente e ora, con la fissazione di un incontro che si terrà a Roma e che impegnerà le due parti a parlarsi nel frattempo, apre la possibilità a uno sbocco che sembrava improbabile. Nonostante i timori e le diffidenze, questo lavoro Meloni lo ha condotto sempre in coordinamento con l’Unione europea. Come dimostrano le chiamate con Ursula von der Leyen prima del viaggio a Washington e, ieri, dopo il ritorno a Roma.
Se si vuole fare un paragone con un altro primo ministro conservatore europeo, molto apprezzato sia da Donald Trump sia da Vladimir Putin, Meloni ha svolto un ruolo politico opposto a quello di Viktor Orbán. Se il primo ministro ungherese assume, da sempre, la funzione del grimaldello nelle mani di Putin (o di Trump) per scardinare l’Europa, la presidente del Consiglio italiana ha assunto la funzione del ponte tra Bruxelles e Washington, in una fase in cui il dialogo tra le due capitali è quasi impossibile.
Ed è l’unico leader politico che poteva fare qualcosa del genere. Perché ha buoni rapporti personali con Elon Musk, che tra l’altro sui dazi ha posizioni diverse dal circolo Maga della Casa Bianca, ma soprattutto perché parla lo stesso linguaggio politico di Trump. Nella conferenza stampa i riferimenti contro l’ideologia woke, l’immigrazione clandestina, il fentanyl e la semicitazione dello slogan Make the West great again non sono stati solo un segno di compiacenza, ma un modo per sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda trumpiana.
L’operazione ha funzionato e ha prodotto un risultato che, seppure minimo, rilancia il ruolo dell’Italia come ponte tra le due sponde dell’Atlantico e rimette l’Europa al centro come soggetto politico. Se questo dialogo tra Stati Uniti ed Europa produrrà qualcosa di concreto è tutto da vedere, ed è probabile che dei passi indietro di Trump, se ci saranno, avverranno più per effetto delle pressioni interne, delle reazioni di Wall Street e dell’andamento dell’inflazione.
Aver strappato l’impegno per un bilaterale con l’Europa in Italia forse non è tanto, ma alla vigilia era difficile pensare di ottenere di più. L’incontro Meloni-Trump, dicono fonti della Commissione Ue, è stata “un’occasione utile per creare ulteriori ponti”. Si spera che non siano ponti verso il nulla.