Il dpcm partorito oggi dal consiglio dei ministri è un insieme di prescrizioni politiche su decisioni che dovrebbero spettare agli azionisti. Capire il Risiko
Il risiko bancario si arricchisce di un nuovo colpo di scena che può complicare tutto, a pochi giorni dall’assemblea per il rinnovo del consiglio di amministrazione delle Assicurazioni Generali. Il governo ha dato un via libera all’offerta pubblica di scambio di Unicredit su Banca BPM vincolato a una serie di condizioni molto stringenti, tra le quali l’obbligo di vendere la banca controllata in Russia e il mantenimento di un rapporto stabile tra prestiti e depositi e dell’attuale rete di filiali, senza quindi razionalizzazioni e chiusure di sportelli che di solito accompagnano le acquisizioni di questo genere. Un intervento a gamba tesa che entra nel merito della gestione industriale rendendo più onerosa e difficile l’offerta con la intenzione di bloccarla. Il consiglio dei ministri si è diviso e Forza Italia per bocca di Antonio Tajani ha fatto mettere a verbale “le grosse riserve sulla base giuridica della golden power per l’ops di UniCredit su Bpm”. Appena lunedì 14 il governo aveva deciso di non pronunciarsi sull’altra offerta pubblica di scambio, quella del Montepaschi (del quale il Tesoro è il primo azionista) su Mediobanca. Non sappiamo quale sarà la reazione di Andrea Orcel, l’amministratore delegato di Unicredit, che può fare ricorso al Tar e al Consiglio di Stato. Ma è evidente che il governo spera che getti la spugna visto che l’operazione diventa meno vantaggiosa e troppo complicata. Il golden power su BPM può influenzare anche la scelta che Orcel farà giovedì prossimo all’assemblea per il rinnovo dei vertici delle Generali. Unicredit che aveva acquistato un pacchetto del 5,27 % avrebbe aumentato nel frattempo la sua partecipazione oltre il 7%, diventando così uno dei principali azionisti del Leone di Trieste dopo Mediobanca che ne possiede il 13%, Delfin con il 9,93% e prima del gruppo Caltagirone (6,9%) e di Benetton che ha il 4,8%. Delfin e Caltagirone sono a loro volta protagonisti dell’ops di Montepaschi su Mediobanca. E secondo gli analisti proprio Unicredit è sceso in campo per essere l’ago della bilancia insieme a Benetton.
Su Banca BPM il governo ha seguito le indicazioni fornite nei giorni scorsi dal Dica, il Dipartimento per il Coordinamento Amministrativo a cui fa riferimento l’attività del comitato golden power. Le prescrizioni sono arrivate in anticipo rispetto ai pronostici del mercato. L’esame è partito dopo la pre-notifica di fine 2024 e la notifica dello scorso 4 febbraio, dopo le quali ci sono 45 lavorativi prima della decisione. Tuttavia si pensava che la necessità di chiarire meglio i termini dell’opas avrebbe allungato i tempi. L’assemblea delle Generali, invece, ha affrettato la scelta. A Unicredit il governo impone di “non ridurre per un periodo di cinque anni il rapporto impieghi/depositi praticato da Banco BPM S.p.a. e UniCredit S.p.a. in Italia, con l’obiettivo di incrementare gli impieghi verso famiglie e PMI nazionali; b. non ridurre il livello del portafoglio attuale di project finance di Banco BPM S.p.a. e Unicredit S.p.a. in Italia; c. per un periodo di almeno 5 anni: non ridurre il peso attuale degli investimenti di Anima Holding S.p.a. in titoli di emittenti italiani e supportare lo sviluppo della Società; d. cessare tutte le attività in Russia (raccolta, impieghi, collocamento fondi prestiti transfrontalieri) entro nove mesi dalla data del presente provvedimento”. Il disincaglio dalla Russia secondo Unicredit è un processo avviato, ma il problema è trovare un acquirente adeguato. Le altre condizioni appaiono una vera e propria prescrizione politica su decisioni che dovrebbero spettare agli azionisti. Di qui l’opposizione di Forza Italia a questo uso del golden power che non appare rispettoso delle regole del mercato e della autonomia delle scelte imprenditoriali. Per esempio l’imposizione di investire in titoli italiani da parte di Anima risponde decisamente a una logica protezionista che non va necessariamente a vantaggio dei risparmiatori i quali potrebbero ritenere più convenienti titoli di altro genere e altri paesi. Ormai è guerra per banche, non solo sulle banche, ed è uno scontro che divide la maggioranza su questioni di principio, non solo di interesse. Giancarlo Giorgetti si è schierato con Matteo Salvini, ma ha ottenuto anche il consenso di Giorgia Meloni che ha firmato il decreto con una panciuta e svolazzante G, prima della firma del ministro dell’economia. La battaglia s’accende, non cambiate canale.