Care amiche femmine, femministe e libertarie, ora che avete decapitato un diritto in nome del primato biologico del femminimo, vi tocca fare i conti con gli altri diritti negati dal relativismo. Sennò è un gioco troppo facile
Donna si nasce, d’accordo, totalmente d’accordo, ma riflettiamo. Per la prima volta un movimento libertario (femminile e femminista) – J. K. Rowling e le altre hanno avuto coraggio – è riuscito a ottenere la decapitazione di un diritto. In assonanza con Trump, che è il dazio altissimo da pagare per chiunque pensi alcune cose da lui realizzate da prima che l’Impostore ne abbia intuito il potenziale elettorale e strumentale, la corte più rilevante del Regno Unito ha stabilito maestosamente, swiftianamente, l’ovvio assoluto, Brobdingnag. Che donna si diventi è una metafora saggistica brillante, niente di più. Nella vita civile fa statuto l’insieme di biologia e anagrafe, due registrazioni della realtà, sei quel che sei alla nascita, comprese soggettività e coscienza, e che saresti se la tua nascita sessuata non fosse impedita con la coercizione libertaria del diritto d’aborto, un altro diritto che in nome di femminismo e libertarismo andrebbe regolamentato, non dispiegato come una bandiera di autonomia e proprietà riproduttiva del proprio corpo (c’è di mezzo il corpo di un altro essere umano, con i suoi cromosomi, donna o maschio, il prebambino bombardato senza pietà a centinaia di milioni di esemplari da decenni poco edificanti).
La riflessione oltre la sentenza, che certamente esclude alcune assurdità come il maschio che gareggi con la femmina e certe promiscuità sgradite alle donne o a certe donne, dovrebbe partire da un fatto. Tutto nella società occidentale verte sulla libertà individuale e di coscienza, il che è tutto sommato una bella cosa, se non si giocasse sull’equivoco totalitario e mistificante intrinseco al tema della libertà, che procede dall’individuo ma ha un impatto sociale e comunitario, civile e per così dire repubblicano, riguarda educazione, istruzione, ricerca, relazioni personali, famiglia, legge, usi e costumi, funzione della pratica medica e della scienza, decisioni politiche e costanti culturali difficili da consegnare alle sole pulsioni del soggetto, nella sua totalità libertaria ideologica. Nel regno swiftiano del relativismo assoluto, appunto Brobdingnag o l’isola di Laputa, non si capisce perché il sesso biologico alla nascita possa essere trattato come una prigione. Non solo nelle città affluenti e bobo, anche nella campagna toscana e leopoldina dove vivo, esistono non rarissimi casi di scelta individuale del sesso di appartenenza, diverso da quello reale, trattati con tolleranza e senso del diritto personale oltre la linea dello smarrimento educativo e familiare. Se un maschio si sente femmina, per dire, e si veste da femmina e si comporta da femmina e vuole fin dalla minore età, vuole fortissimamente vuole, essere femmina, ci sono fior di apparati psicologici, ospedali attrezzati, mentori e appassionati operatori medici che cercano di garantirgli l’acquisizione di questo cosiddetto diritto. Marianna Rizzini aveva scritto qui una illuminante inchiesta in proposito. “Donne si diventa” per molti ragazzini o pochi, ma fa lo stesso, non è una metafora buona per l’educandato di Saint-Germain-des-Près, è vita vissuta a partire dai modelli televisivi, dallo screening sociale autoprodotto dalla civiltà dell’immagine e della musica e della moda, e naturalmente è anche una libera scelta, sebbene sotto la condizione strana della libertà adolescenziale assoluta o preadolescenziale.
Si dirà. Nessuno vuole impedire la condizione della transizione sessuale in sé, il problema è difendere le donne da questo nuovo patriarcato, come dice Eugenia Roccella, che si vuole imporre a partire dalla scelta maschia di essere anche femmina, accompagnata dalla pratica medica e dalla inclusività educativa del tutto nel tutto. Giusto e sensazionalmente normale. Vorrei vedere che si facesse una crociata contro i trasgender. Ma questo “vorrei vedere” è anche una ipocrita foglia di fico, copre una scelta restrittiva dei diritti di autorealizzazione, rende parziale e non inclusivo l’accoglimento della transizione nei suoi effetti finali, è chiaro. Dunque riflettiamo. Tenere in piedi le basi del relativismo in tutte le materie che riguardano l’individualità e la relazionalità dei rapporti d’amore o sessuali, nella nozione di ciò che è paideia o educazione o pedagogia, nell’impianto culturale e sociale di come noi siamo, maschi e femmine e anche qualcos’altro, nella idea di autorità e di paternità e maternità che ci facciamo in quel che resta del nucleo familiare originario della società, non è possibile. Care amiche femmine, femministe e libertarie, avete decapitato un diritto in nome del vostro diritto al primato biologico del femminino, bene, ora fate i conti con gli altri diritti negati dal relativismo. Sennò è un gioco troppo facile. Grazie.