L’ira di Trump e il possibile “disaccoppiamento” di Fed e Bce

Il presidente americano minaccia di licenziare il presidente della Federal Reserve Jerome Powell che non abbassa i tassi come la Banca centrale europea. Lagarde lo difende

La Bce e la Federal Reserve hanno scelto due strade diverse per affrontare il rallentamento economico che si prospetta per effetto dei dazi di Trump. La prima ha tagliato i tassi di 0,25 punti base, facendo intendere che li taglierà ancora e che potrebbe anche scendere sotto il target del 2 per cento, poiché ritiene sia necessario per sostenere la crescita dell’Eurozona. Mentre la seconda, temendo uno scenario di stagflazione che in America non si verifica da mezzo secolo, ha scelto una linea più restrittiva, di restare immobile, facendo infuriare Trump. Il presidente degli Stati Uniti, sul social network Thruth, ha attacato il presidente della Fed, Jerome Powell, affibbiandogli il nomignolo “Troppo lento” (too late): “E’ sempre in ritardo e ha sempre torto”, ha scritto Trump, chiedendo un immediato taglio dei tassi e lanciando un messaggio che sembra quasi uno sfratto: “La fine del suo mandato non arriverà mai abbastanza in fretta”. Un attacco molto duro, in parte prevedibile da parte di chi come Trump ha sempre desiderato che la Fed facesse da sponda alle politiche protezionistiche muovendo la leva dei tassi, mentre Powell ha finora mantenuto una posizione autonoma.



Ma avere aggiunto al messaggio, come ha fatto Trump, una richiesta pubblica dimissioni (o un annuncio di licenziamento), ha spinto la presidente della Bce, Christine Lagarde, a mostrare in conferenza stampa solidarietà per il collega e “amico” Jay Powell dicendo di averne molto rispetto, che esiste una solida relazione tra banchieri centrali e che entrambi continueranno a lavorare per rafforzare il sistema finanziario. Lagarde non si è limitata a difendere l’indipendenza dei banchieri centrali, ma ha spiegato come l’impatto differente sui paesi giustifichi una diversa risposta di politica monetaria. “I dazi avranno impatti che dipenderanno in larga misura dalla parte del mondo in cui ci si trova”, ha detto la presidente della Bce sancendo così l’inizio di un possibile “disaccoppiamento” tra le due banche centrali che nella storia si sono sempre mosse in sintonia.



Le ragioni di questa divergenza dipendono dai diversi effetti sulle due sponde dell’Atlantico delle tariffe commerciali. La Bce, come la maggior parte degli economisti, è convinta che mentre l’impatto dei dazi sulla crescita “è sicuro”, quello sull’inflazione si vedrà nel corso del tempo. Nonostante la tregua di 90 giorni, l’Europa deve, infatti, affrontare uno choc negativo della domanda poiché alcuni dazi sono già in vigore e la Bce ha stimatoun aumento dell’imposizione media sulle merci dal 3 al 13 per cento. Per contro, il calo dei prezzi dell’energia e l’apprezzamento dell’euro potrebbero esercitare un’ulteriore pressione al ribasso sull’inflazione. Dunque esistono le condizioni per un’espansione monetaria che aiuti l’Eurozona ad affrontare il rallentamento economico.

Negli Stati Uniti le cose stanno diversamente. Innanzitutto, come ha sottolineato Powell, il livello degli incrementi tariffari annunciato finora da Trump è significativamente maggiore del previsto e questo sta avviando l’economia americana verso una crescita più debole, una maggiore disoccupazione e un’inflazione più rapida spinta dall’aumento dei prezzi dei beni importati. Lo scenario più temuto è quello di un mix di inflazione e stagnazione economica, che nella storia ha sempre posto i banchieri centrali di fronte al dilemma su come uscirne, se aumentando i tassi per frenare i prezzi ma al costo di deprimere ancor di più l’economia oppure riducendo il costo del denaro, come vorrebbe la Casa Bianca, ma al costo di innescare quella spirale inflazionistica che negli anni Settanta paralizzò l’economia mondiale.

Nell’incertezza, Powell ha scelto di restare fermo, ma il suo discorso a Chicago di mercoledì è stato una critica alle politiche commerciali protezionistiche accompagnata da una frase – “le decisioni solo in base alle nostre analisi: non saremo mai influenzati da alcuna pressione politica” – che, evidentemente, a Trump non è piaciuta.

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