La prudenza di Giorgetti: si prepara al peggio, ma spera per il meglio

Il Mef mantiene gli obiettivi di bilancio del Piano, nonostante le previsioni del Dfp si basino sui dazi abnormi del Libration day. Ma la speranza è che il negoziato con Trump porti a una “distensione delle relazioni commerciali”

Poche ore prima che Giorgia Meloni a Washington parlasse con Donald Trump, a Roma il suo ministro dell’Economia manifestava un certo ottimismo. Presentando il Documento di finanza pubblica (Dfp) in audizione al Parlamento, Giancarlo Giorgetti dice che il quadro macroeconomico considerato è fermo alle condizioni del 4 aprile, cioè prima che Trump sospendesse parte dei dazi (la quota sopra il 10%) per 90 giorni. Quindi lo scenario, pur restando “estremamente incerto”, potrebbe subire un’evoluzione positiva dal negoziato in corso tra gli Stati Uniti e Unione europea generando “una distensione delle relazioni commerciali a livello internazionale”.

Ma, siccome il bilancio non si fa con gli auspici e l’ottimismo, le previsioni del Mef rimangono “orientate alla massima cautela”. Così le stime del governo per l’aggiornamento del quadro macroeconomico si basano sugli annunci del Liberation day e delle sue abnormi “tariffe reciproche”. D’altronde, questo approccio “prudenziale” è stato una caratteristica distintiva dell’azione del governo che ha consentito finora, almeno per il quadro di finanza pubblica, di poter mostrare risultati migliori delle previsioni.

L’anno appena concluso, da questo punto di vista, è molto significativo. A fronte di una crescita dello 0,7%, leggermente inferiore alle stime indicate nel Piano precedente, il 2024 ha mostrato un miglioramento dei conti pubblici superiore alle attese. “I dati di consuntivo hanno mostrato un deficit al 3,4% del pil, dal 7,2% del 2023, segnando un miglioramento ancor più marcato rispetto a quello stimato nelle previsioni formulate lo scorso anno: 3,8% nel Piano e 4,3% nel Def 2024”, dice il ministro. La prudenza fiscale, con un forte aggiustamento fiscale (quasi 4 punti di pil) che non ha avuto un impatto negativo sulla crescita, ha rafforzato la fiducia dei mercati. “Le agenzie di rating, che già a partire dalla fine del 2023 hanno rivisto al rialzo l’outlook, stanno migliorando il giudizio sul nostro paese – ha detto Giorgetti – come testimoniato dal recente upgrade effettuato da S&P, particolarmente rassicurante poiché si verifica in un contesto di rallentamento dell’economia globale”.

E questo è un merito non irrilevante della politica fiscale del governo Meloni. Perché, in una fase di grande tensione e incertezza sui mercati internazionali, dove addirittura si perde fiducia nel dollaro e nei Treasury Usa, gli investitori tendono a fuggire dai paesi a maggiore rischio per rifugiarsi nei titoli più sicuri (fly to quality). Ma lo spread dell’Italia, in questa fase turbolenta, non si è allargato. Anzi, le agenzie di rating hanno premiato gli sforzi del governo, nonostante un debito pubblico in costante aumento a causa della pesante eredità dei bonus edilizi. Questo aspetto è stato segnalato sia da S&P, nella pagella con cui ha alzato il rating dell’Italia a BBB+ (“il debito pubblico continua ad aumentare a causa dell’adeguamento dei flussi di cassa legato al Superbonus, che aggiunge l’1-2% del pil di spesa fuori bilancio all’anno fino al 2027. Consideriamo questo un rischio, perché i livelli di debito pubblico italiano sono già molto elevati”), sia dalla Banca d’Italia nell’audizione di ieri (“l’avanzo primario non è stato sufficiente a compensare una significativa componente stock-flussi, dovuta principalmente al rafforzarsi degli effetti di cassa dei crediti d’imposta per il Superbonus maturati negli anni precedenti”). L’Italia, quindi, migliora il bilancio nonostante il Superbonus. Anzi, proprio per averlo chiuso totalmente (anche se con ritardo): “Il miglioramento dei conti è stato guidato in massima parte dalla netta contrazione dei contributi in conto capitale dal 5,6% all’1,5 % del pil – ha detto la Banca d’Italia – dovuta soprattutto al drastico ridimensionamento delle spese relative al Superbonus”.

La salute dei conti pubblici del 2024 migliore delle attese consente al governo di confermare gli obiettivi per i prossimi anni, nonostante uno scenario economico globale in peggioramento: deficit al 3,3% quest’anno, 2,8% nel 206; e 2,6% nel 2027. A partire da quest’anno, che è anche l’ultimo della legislatura, il debito pubblico comincerà a scendere più rapidamente per l’esaurirsi dei pagamenti delle rate del Superbonus (4,6 punti di pil solo nel triennio 2025-27, dice la Banca d’Italia, pari a circa 100 miliardi di euro).

Giorgetti si sofferma anche sull’aumento della pressione fiscale, il dato che contabilmente ha migliorato i conti pubblici per l’incremento delle entrate, ma che politicamente è un tasto dolente per un governo di centrodestra: il dato, dice Giorgetti, “sovrastima il peso del fisco” perché il taglio strutturale del cuneo fiscale figura come “bonus in busta paga” che è contabilizzato come maggiore spesa anziché minore entrata. È un déjà vu: lo stesso argomento veniva usato quando al Mef c’era Pier Carlo Padoan, durante il governo Renzi, a proposito del Bonus 80 euro. Sulle spese per la difesa, il ministro dell’Economia anticipa un messaggio che la premier ha portato a Trump: già quest’anno l’Italia raggiungerà l’obiettivo del 2% di spesa sul pil.

Il messaggio di politica economica che Giorgetti manda in contemporanea alla missione di Meloni a Washington è che l’Italia è preparata al peggio, ma spera per il meglio.

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