Il governatore Newsom vuole sradicare i dazi di Trump, ma può sperare solo in due risultati

La California annuncia che cercherà un modo di distaccarsi dal protezionismo imposto dal tycoon, che potrebbe impattare pesantemente sul suo settore tech e alla sua produzione di mandorle. Ma i punti in cui può sperare di ottenere qualcosa sono altri

Il governatore della California Gavin Newsom ha annunciato all’inizio di aprile che il suo stato “continuerà a essere un partner affidabile” per gli altri paesi del mondo, cioè cercherà un modo di distaccarsi dal protezionismo che Donald Trump impone agli Stati Uniti e quindi al resto del mondo. Ora è arrivato un ricorso che cerca di smontare l’impianto stesso dei dazi: con un comunicato stampa congiunto assieme al procuratore generale californiano Rob Bonta, il governatore Newsom ha introdotto la sua decisione di attaccare il governo federale perché “i dazi hanno sconvolto la catena dei rifornimenti, hanno fatto schizzare i costi fissi per i cittadini californiani” a cui risponde onta dicendo che “le politiche commerciali non sono solo un gioco”. Il ricorso alla Corte distrettuale della California settentrionale però non cerca di esentare la California dalla legge federale, ma di cancellare completamente tutti i dazi. Come? Rendendo nulla “l’emergenza” creata artatamente dal presidente per giustificare il tutto, fattispecie prevista da una legge del 1977 che consente al presidente di gestire il commercio internazionale in caso di crisi internazionali. Che attualmente però non dovrebbero giustificare una guerra economica al resto del mondo. Di fronte alla Corte Suprema però ci potrebbe essere una sola strada: smontare la legge voluta dal presidente democratico Jimmy Carter oltre quarant’anni fa e tornare alla gestione delle questioni commerciali da parte del Congresso.

Un rovesciamento di fronte con la posizione tradizionale dei repubblicani, che nel frattempo hanno abbracciato il protezionismo discrezionale del presidente, pronto a cambiare a seconda della sua volontà. Un punto su cui però l’Amministrazione potrebbe far valere la teoria del “governo unificato” che dà al presidente la primazia sugli altri poteri del governo federale. Fino a che punto però questo potrà interferire con le scelte dei singoli stati?

Senza questa mossa, le opzioni a disposizione della California apparivano limitate, nonostante la voce grossa di altri politici liberal locali. Nel messaggio diffuso al pubblico qualche settimana fa, Newsom aveva alluso al fatto che “la California non è D.C.”. Un’espressione che al giornale conservatore New York Sun ha evocato la “nullification crisis” del 1828 che coinvolgeva la South Carolina, uno stato che allora viveva dell’export del cotone raccolto nelle piantagioni schiaviste.

La California oggi è uno stato che ha un enorme settore tech che verrà pesantemente colpito dalle restrizioni ritorsive che imporranno stati come la Cina sui semiconduttori, ma c’è anche un problema agrario: lo stato è uno dei maggiori produttori di mandorle al mondo e i dazi potrebbero indurre gli acquirenti a rivolgersi a competitor come l’Australia. Insomma, se in questi mesi iniziali della seconda presidenza di Trump Newsom è stato molto cauto nell’attaccarlo – anzi, ha cercato di comprendere le ragioni dei conservatori, tanto da invitare due ipertrumpisti come Charlie Kirk e Steve Bannon – ora sceglie di andare all’attacco su una questione prettamente economica, usando peraltro in calce al suo comunicato non voci progressiste, ma liberiste: come il senatore del Kentucky Rand Paul, il suo collega texano Ted Cruz ma anche il Wall Street Journal, da tempo una voce critica delle politiche economiche del presidente da posizioni liberoscambiste.

Nel frattempo, però cosa potrà ottenere l’ambizioso governatore del Golden State, che non ha mai nascosto le sue ambizioni presidenziali? Molto poco, secondo gli analisti: anzi quasi certamente nelle misure di risposta previste da Cina e Unione europea quasi certamente a soffrire saranno le aziende della Silicon Valley. Ci sono solo due settori dove può sperare di ottenere qualcosa: il turismo da parte di visitatori messicani e canadesi, su cui però non si potrebbe garantire nulla riguardo ai controlli doganali, e i prodotti agricoli, su cui apporre dei bollini che dicano “prodotto in California” e sottrarsi al boicottaggio dei vicini del nord, che già hanno sanzionato le arance della conservatrice Florida.

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