Antal Rogan, capo di gabinetto del premier ungherese, è ora fuori dalla lista delle persone sanzionate dagli Stati Uniti. Ma il suo nome compare di frequente “negli scandali di corruzione degli ultimi dieci anni in Ungheria”, spiega il giornalista d’inchiesta Szabolcs Panyi
Il dipartimento del Tesoro americano ha rimosso Antal Rogan, capo di gabinetto del premier ungherese Viktor Orbán, dalla lista delle persone sanzionate, in quanto la sua presenza “è in contraddizione con gli interessi della politica estera americana”, spiega la nota del ministero. Rogan era stato inserito nella lista – in base al Global Magnitsky Act, la legge americana che punisce chi è considerato responsabile di violazione dei diritti umani e di corruzione – dall’Amministrazione Biden a gennaio. Secondo il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, “dopo la cocente sconfitta elettorale, i bideniani si sono vendicati dell’Ungheria” sanzionando Rogan: “Ma quella stagione è finita”.
Ora c’è Donald Trump alla Casa Bianca e il governo ungherese festeggia, perché la sintonia è grande: il segretario di stato, Marco Rubio, ha parlato con Szijjártó e gli ha annunciato la rimozione delle sanzioni, cosa che il ministro ungherese aveva già chiesto quando aveva incontrato Rubio all’inizio di marzo: Rogan è uno dei gangli del sistema di potere orbaniano, un fedelissimo che si è occupato dell’accentramento del potere, in particolare quel che ha riguardato l’annichilimento del pluralismo mediatico in Ungheria, e anche dei visti speciali concessi a russi, cinesi e iraniani che sono così arrivati nel paese. In più Rogan si è arricchito come molti altri del governo Orbán: gli acquisti lussuosi della sua terza moglie sono segnalati sui social come la dimostrazione della corruzione per cui è stato inserito nella lista dei sanzionati dall’Amministrazione Biden (questa ennesima testimonianza comunque non batte il giardino delle zebre del premier: sembra che i suoi nipoti siano spaventati dalle bestie selvatiche, ma a lui piacciono molto, forse si vuole mettere in competizione con il “padrone-padrino” della Georgia, Bidzina Ivanishvili, che ha uno zoo tutto suo). Szabolcs Panyi, uno dei più importanti giornalisti d’inchiesta ungheresi, dice al Foglio che, “a parte Orban e la sua famiglia, Rogan compare più di frequente negli scandali di corruzione degli ultimi dieci anni in Ungheria”.
Panyi spiega che “lo scandalo che è finito sui giornali internazionali è il ‘golden visa scheme’, inventato e proposto ufficialmente proprio da Rogan. con il quale 15 mila cinesi duemila russi e centinaia di iraniani, tra gli altri, hanno ottenuto visti per la zona Schengen e permessi di soggiorno in Ungheria, al prezzo di 300 mila euro ciascuno. Quel che rende così singolare questo programma è che oscure società offshore con molti legami con l’entourage di Rogan hanno preso i soldi e i profitti, non lo stato ungherese”. Secondo un inchiesta di Direkt 36, dove lavora anche Panyi, tra i cittadini accolti c’è un tesoriere di Bashar el Assad, il dittatore siriano ora rifugiato in Russia, c’è parte della famiglia del capo dell’intelligence russo, Sergei Naryshkin (che due giorni fa ha aggiunto alla lista trumpiana dei responsabili della guerra in Ucraina, che conta già Biden e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, anche la Francia e la Germania), parlamentari russi, imprenditori russi e cinesi. La loro presenza in territorio europeo ha creato non poche preoccupazioni in termini di sicurezza, ma per il governo Orbán questo non è mai stato un problema: vive dei fondi europei (anche le zebre probabilmente le abbiamo pagate noi) ma mina il progetto europeo dall’interno con ogni mezzo.
Nella legge approvata in questi giorni, secondo cui chi organizza eventi o partecipa a manifestazioni contro la “Legge per la protezione dell’infanzia” commette un reato e sarà identificato grazie all’utilizzo massivo di tecnologia di riconoscimento facciale (come in Russia, come in Cina), si riconosce alle autorità la facoltà di sospendere temporaneamente la cittadinanza ungherese (per i cittadini che ne hanno una doppia) a chi venga giudicato una “minaccia” per la sicurezza. Secondo il partito di governo, la misura è rivolta “alle false ong che hanno comprato i politici e i cosiddetti media indipendenti” dall’estero: intendono George Soros, ma anche gli “agenti stranieri” che aiutano la società civile, e il principale rivale di Orbán, Péter Magyar, ora primo nei sondaggi. Russi, cinesi e iraniani non sono tra questi.