Autonomia, sanità, trasporti e altro. Fratelli d’Italia vuole lo scettro (e spariglia in Comune). Ma mancano tre anni, e servono scelte politiche
A chi la Lombardia? A noi! Sì, ma per farci che cosa? Premessa doverosa: negli ultimi tempi trova molto posto sui giornali il delicato intrico a destra tra le elezioni del Veneto, quelle della Lombardia e quelle di Milano. A chi va il Veneto? A Zaia no, alla Lega sì, o a Fratelli d’Italia? E a chi va la Lombardia? A chi va Milano? Del Lazio e di Roma neanche si parla, perché è scontato che quella sia roba di Giorgia Meloni. Ma la Lombardia è giotta, ed è tutto un fiorire di nomi e di (forse) strategie. Dalla cena pasquale a casa La Russa, che vorrebbe tantissimo Maurizio Lupi sindaco, alle indiscrezioni farlocche che invece vorrebbero Carlo Fidanza nome dei meloniani per Palazzo Marino. Lui non è disponibile, né papabile, e prova a dirlo in lungo e in largo, tirandosi fuori. Ma se due anni per le comunali sono un tempo congruo per iniziare a parlarne, si voterà a primavera 2027, anche se con coordinate abbastanza confuse, alle regionali lombarde ne mancano addirittura tre. Si voterà infatti nel 2028, e quindi la prudenza, oltre che la buona politica, suggerisce di partire non dalla bandierina da piantare, a dai contenuti.
Si torna così all’inizio: la Lombardia? A noi! Ma – come si diceva sopra – per farci che cosa? Quale la proposta elettorale di Fratelli d’Italia? E’ tutta qui la questione. Perché se è vero che Lega e Fratelli d’Italia appartengono alla stessa area culturale, ovvero la destra, sul tema del Nord sono assai distanti. In primis: l’autonomia. La Lega (nonostante il poco entusiasmo di Salvini) ne ha fatta una bandiera, dopo i claudicanti tempi secessionisti che oggi sembrano anticaglia. Maroni incardinò il nuovo corso che trasformava il corso precedente senza stravolgerlo. La consecutio logica in due passaggi era chiara. Primo passaggio formigoniano: la Lombardia è la migliore regione d’Italia perché sa innovare e mette insieme pubblico e privato. Secondo passaggio maroniano: quindi si merita di essere autonoma nelle sue scelte e soprattutto – essendo più efficiente – deve poter gestire le proprie risorse. Ovviamente, in vista del 2028, FdI dovrà elaborare una sua proposta politica che sia innovativa rispetto a quella maroniana. Sempre che FdI, che all’autonomia non crede, voglia davvero vincere, in Lombardia. Secondo fonti consultate dal Foglio, l’idea di base sarebbe quella di fare un back to basics: l’efficienza al centro. FdI infatti ricorda a tutti che c’era la destra, insieme a Formigoni, ad approvare nel 1996 la legge che istituiva l’unicità lombarda a livello sanitario, una strategia talmente geniale da risultare oggi vincente, e che la Lega era invece all’opposizione.
Certo, trent’anni sono tanti, ma c’è chi lo ricorda ancora, svelenando. Cattiverie a parte, il back to basics di Fdi partirebbe da una elaborazione delle politiche sanitarie lontane dall’emergenza e che amplino il concetto di collaborazione pubblico-privato. Una sorta di “voucherizzazione” delle prestazioni, dove il cittadino è completamente libero di scegliere. Il processo, peraltro, è in corso un po’ in tutte le regioni. Ma è lo stesso governo, col ministero Schillaci, a pensare in termini molto più centralistici. Nella strategia di FdI c’è la rassicurazione del privato, ma c’è da scegliere in termini di autonomia. La Lombardia può vantare i fondi di coesione per volontà di questo governo, che ama il premierato ma che non si oppone all’autonomia, e anzi ha votato a favore. Se la sanità rappresenta il principale capitolo di spesa del bilancio lombardo, e dunque la più importante voce “politica” da spendere in campagna elettorale. Decisioni da prendere.
C’è poi il capitolo dei trasporti. Anche qui, la parola d’ordine sembra essere l’ispirazione agli antichi modelli, quelli che fecero nascere l’esperienza di Trenord come alternativa a un trasporto di marca nazionale. Era un modello, si sottolinea a destra, che non voleva la secessione dal mondo Fs, ma la collaborazione. Non a caso Trenitalia controlla ancora oggi il 50 per cento di Trenord. Decisione ideologicamente spiegabile, ma managerialmente da incubo: il 50-50 è uno stallo e uno scarico di responsabilità che va avanti da decenni per un servizio che nl’utenza non. Che cosa ne penserebbe la destra lombarda della fusione con Atm? Tutto il bene del mondo, pare. Ma il progetto inceppato non è detto che non si stia ricominciando a muovere. Su Fondazione Fiera la partita pare chiusa, e dunque a breve ci saranno novità neanche troppo nuove a livello di nomi. Ma di scossoni nel concetto di base del sistema fieristico non ci sono avvisaglie: l’unico passaggio stretto è quello del prossimo anno, con le nomine nella quotata Fiera Milano. Tattica, ovviamente, e non strategia politica. Di certo la tensione sull’asse Lega-Fratelli d’Italia è alta. Ma questo non è uno scatto di qualche mese, ma una maratona di tre anni, e vincerà la sfida – al netto del gioco delle bandierine e dei pesi elettorali – chi avrà i nervi più saldi. E – si spera – le idee migliori.