Il gran ritorno della Germania

Già locomotiva economica, ora è un potenziale gigante politico. Il nuovo modello tedesco è la risposta alla scomparsa dell’America

Non che si debba scegliere o ci si debba fare imporre uno stato-guida (personalmente ho avuto esperienza amara della cosa) ma la scomparsa dell’America può avere per contraltare, se le cose dovessero andare per il meglio, il ritorno della Germania. Quel genio di Dino Baldi, filologo classico e scrittore, traduttore e curatore per Quodlibet della Germania di Tacito (fine primo secolo), suggerisce un paragone di talento tra Tacito e Jonathan Swift. Gulliver viaggia in terre esotiche di sublime tessitura fantastica per mostrare quanto sia decaduto l’occidente politicamente corretto, quanta sia “la follia del mondo occidentale”, Tacito prende le misure delle terre tra il fiume Reno e il fiume Elba, la sua Germania, in un racconto etnografico non privo di voli fantastici allo stesso scopo: vuole dimostrare che le antiche virtù tradizionalmente attribuite ai romani “come la simplicitas, la pudicizia, la fides, l’integritas, la fortitudo, la nobilitas” sopravvivono a modo loro tra i barbari e “illustrano un modello di perfezione originaria da rimpiangere e al quale rifarsi”. Ecco, mi sono rovinato con le mie mani, tirando in ballo anche Dino Baldi e perfino Tacito e Guilliver, per aderire a un nuovo improvvisato modello. Ma non è così.

Ovvio che se il problema è la Russia, con il suo progettino neoimperiale, la Germania è parte della soluzione. Ovvio che se il problema è la sicurezza collettiva, senza la Germania c’è pochissimo altro da fare se non alzare le mani. Oggi il paese del futuro Cancelliere Merz è il contrario di quello di ieri, in un certo senso. Gigante economico e nano politico, così era definito nella guerra fredda, e l’infame Franti (de Gaulle) sorrideva, la Germania già locomotiva economica è ora un potenziale gigante politico, e forse un buon carro armato e un buon missile Taurus, che deve emanciparsi dal recente nanismo industriale e produttivo di tendenza recessiva e ritrovare il suo spazio vitale (oooops!) nel concerto delle democrazie liberali e costituzionali che devono imparare a difendersi dal Channel all’Elba, passando i confini dell’Oder-Neisse con la Polonia e coprendo di un mantello d’acciaio tutto l’est, fino ai paesi baltici e alla Finlandia. Saranno gli esperti di geopolitica, non io che la considero una forma di cartoonism, un videogioco, un geofumetto globale, a speculare, indagare, intrugliare, dettagliare come desiderano.

Per quanto mi riguarda, se Friedrich Merz è un liberale che sa spendere nelle cose giuste, e riattivare un’economia languente e costruire un limes realista capace di contenere l’assalto spiritualista e zarista degli amici del caro Paolo Nori, viva la faccia. La scomparsa dell’America di Roosevelt e Truman, fino a Reagan e a Clinton, lascia un vuoto che qualcuno dovrà pur colmare. Non mi imbranco con chi ha paura del riarmo tedesco, con chi diffonde spregevoli stereotipi novecenteschi a protezione del vero pericolo totalitario e autocratico, con chi ignora il fondo radicale e iperdemocratico basato su una Costituzione federale a prova di bomba e su una denazificazione tarda ma sicura, irrobustita invece che debilitata dalle vicende postweimariane dell’unificazione, al di là delle quali si è visto che il residuo nazi è forte soprattutto nell’est germanico, nelle terre dove avevano dominato i rossi. Altro che dazi, bisogna augurarsi che Regno Unito Francia e Germania, possibilmente con una forte compresenza eretta e coraggiosa dell’Italia e della Spagna, suppliscano a quel che con JD e Trump è venuto a mancare: la lealtà verso la libertà e l’indipendenza dei popoli, superiore perfino alle opinioni di mercato dell’età aurea. L’importante è che i tedeschi accettino il ruolo che è loro, geograficamente e storicamente, quello di avanguardia a ridosso del limes. Descrivendo la giornata ubriaca e rissosa del barbaro germano, Tacito alla fine gli riconosce la migliore delle qualità, un quadretto da Oktoberfest. “Popolo ingenuo e senza malizia, nella libertà conviviale svelano ciò che fino a quel momento tenevano chiuso dentro di sé, così che la mente di tutti appare scoperta e nuda. Il giorno dopo riprendono in mano la questione (…): discutono quando non possono mentire, decidono quando non possono sbagliare”. Facciamoci e facciamogli tanti cari auguri.

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  • Giuliano Ferrara
    Fondatore
  • “Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.

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