Per rispondere ai dazi e investire in Difesa: armiamoci di bollicine

Quest’anno il Vinitaly si è svolto in una fase di particolare tensione per il settore enologico. Di fronte al caos e all’incertezza, ho un’umile proposta: perché non convertire le nostre bottiglie in armi?

Una settimana fa si è concluso a Verona il Vinitaly 2025, l’annuale fiera dei vini, dei distillati e delle patenti di guida ritirate. Come ogni anno, il Vinitaly è stata una parata di ministri: fra calici e bottiglie hanno sfilato Lollobrigida, Urso, Giuli… Praticamente il Vinitaly è la Gintoneria del governo Meloni. Data l’importanza economica del settore enologico per l’economia italiana, da sempre questa manifestazione è stata un crocevia di incontri, relazioni e scelte industriali importanti; ma mai come quest’anno l’evento era cruciale e le decisioni da prendere urgenti, dato il duro colpo inferto dai dazi di Trump a tutti i maggiori produttori di vino, per i quali l’export, specie quello per il mercato americano, costituisce una delle fette più importanti dei loro ricavi.

“E adesso che si fa?”, si son chiesti per giorni politici e vignaioli raccolti attorno agli stand regionali, tutti pallidi e spaventati al pensiero di montagne di giacenze e fatturati in calo; neanche a dire che bevessero per dimenticare, dato che in questo caso ogni sorso di vino non faceva che ricordargli il problema. Ora che i dazi son stati sospesi, gli interessati rifiatano; ma fra novanta giorni cosa succederà? Non si può stare appesi alle bizze di Trump: urge una riconversione industriale per dare un futuro certo al vino italiano. Scartata l’ipotesi di far assorbire al mercato interno quello americano, cioè convincere gli italiani a bersi anche il vino che gli americani non potranno più permettersi (soluzione alla lunga non sostenibile, dato che il sistema sanitario nazionale non riuscirebbe a gestire tutti quei casi di cirrosi), propongo di convertire la destinazione d’uso del vino italiano: non più merce destinata al mercato enogastronomico, ma munizioni per il settore della Difesa.

Oggi la domanda, a livello mondiale, è di armi; e secondo me il vino italiano può essere una risposta. Anche interna: Crosetto ha lanciato l’allarme che l’Italia non ha scorte di munizioni; ma di vino sì. Dobbiamo iniziare a considerare tutte quelle bottiglie come fossero armi, e non intendo Molotov. Prendete le nostre bollicine: lo spumante italiano può arrivare a sparare un tappo molto lontano e con una velocità supersonica, e senza essere intercettato dai radar. I dati sugli incidenti a capodanno o sui feriti in occasione di altre festività in cui si stappa ci incoraggiano a impiegare la bottiglieria dal punto di vista bellico: sono tante le persone finite ricoverate all’oftalmico per essersi stappati un prosecco nell’occhio, o con una leggera commozione cerebrale dovuta a un tappo a corona vagante o accidentalmente sparato contro il loro cervelletto. Pensate quello che potrebbero fare contro i droni. Affinando il prodotto dal punto di vista della fermentazione e aggiungendo ulteriore anidride carbonica, possiamo arrivare entro l’anno alla produzione di bottiglie di spumante con tappi terra-aria o di precisione che saranno un ottimo deterrente militare – o, in caso di guerra calda, un modo anche più allegro di rispondere all’attacco nemico. Così facendo potremmo vendere casse dei nostri vini frizzanti all’Unione Europea nell’ambito del piano ReArm Europe – e senza temere i distinguo della Lega né le divisioni del Pd: in fondo non si tratta di “armi”, ma di bottiglie. Non dimentichiamoci inoltre il vino della casa, da sempre letale, altamente tossico; ma per considerarlo ufficialmente fra le armi in dotazione al nostro esercito si dovrebbe poter sorvolare sulle norme internazionali che impediscono l’impiego di armi chimiche. In ogni caso, con l’impiego del vino italiano la guerra sarà di qualità.


Di più su questi argomenti:

Leave a comment

Your email address will not be published.