Attrarre ricercatori in fuga da Trump, ma come? Iannantuoni (Crui): “Il piano del governo è giusto. Ma serve continuità”

Il bando da 50 milioni lanciato dalla ministra Anna Maria Bernini è accolto con favore dai rettori delle università, che però chiedono una programmazione pluriennale. Parlano Giovanna Iannantuoni (Bicocca di Milano), Francesco Cupertino (Politecnico di Bari) e Massimo Midiri (Università di Palermo)

Mentre il sistema universitario statunitense vacilla sotto il peso di tagli federali e pressioni politiche, l’Italia prova a riportare a casa i suoi cervelli (e magari attrarne di nuovi). Almeno è questa l’idea dietro al piano per “richiamare giovani ricercatori dall’estero”, presentato dalla ministra dell’Università e della ricerca, Anna Maria Bernini, un paio di settimane fa agli Stati generali dell’università di Forza Italia. Negli scorsi giorni è stato pubblicato l’Avviso del bando che mira ad attrarre ricercatori italiani e stranieri attualmente impegnati fuori dall’Italia, ma interessati a tornare, o a trasferirsi, nel nostro paese, con un budget da 50 milioni di euro. Le risorse sono rivolte ai ricercatori vincitori di uno dei due finanziamenti europei, Erc starting grants o Erc Consolidator grants, che svolgono attività di ricerca fuori dall’Italia, o che hanno già concluso il proprio progetto in una host istitution estera. Le domande di partecipazione possono essere presentate da domani, in lingua inglese, tramite la piattaforma web, fino al 4 giugno. Un’iniziativa, quella del governo, che sembra essere stata accolta con favore dai rettori delle università italiane.

“L’Italia è nella direzione giusta per aumentare la propria attrattività nell’ambito della ricerca, soprattutto in un momento come questo”, dice al Foglio Giovanna Iannantuoni, rettrice dell’Università Bicocca di Milano e presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui). Una mossa che arriva nel momento giusto perché negli Stati Uniti “la situazione accademica è, al momento, molto pesante perché hanno avuto tagli devastanti”, dice il rettore dell’Università di Palermo, Massimo Midiri. “Accogliere colleghi che hanno una valenza internazionale non può essere che di miglioramento per il sistema italiano”, prosegue Midiri. Dello stesso pensiero è il rettore del Politecnico di Bari, Francesco Cupertino, che al Foglio spiega: “Il clima di grande incertezza nelle università americane potrebbe portare i ricercatori a valutare la possibilità di lasciare il paese e questo potrebbe essere il momento perfetto per l’Italia per approfittarne”.

Uno dei punti che determinerà il successo dell’iniziativa è quello economico. La dotazione finanziaria del fondo da 50 milioni è sufficiente? Secondo i partiti di opposizione no, con il responsabile Università del Partito Democratico Alfredo D’Attorre che ha parlato del piano Bernini come di “una goccia nel mare delle necessità della ricerca italiana”.

“Ogni volta che arrivano dei fondi per la ricerca è sempre una buona notizia”, dice il rettore Cupertino, che però precisa: “Il limite di questa iniziativa sta sicuramente nell’entità del finanziamento”. Mentre la presidente della Crui e rettrice della Bicocca vede il bicchiere mezzo pieno e sorvola sulla cifra. “Riceviamo dei soldi per la ricerca, questo è l’importante”, dice. Così come il rettore dell’Università di Palermo, che prende in considerazione soprattutto il ruolo delle università. “Cinquanta milioni non sono pochi, permettono di proseguire le attività avviate con il Pnrr e si crea una logica di autosostenibilità. Una volta dato il finanziamento statale c’è bisogno del lavoro delle singole università”. L’esortazione a una collaborazione tra le diverse entità coinvolte arriva anche dal rettore del Policlinico di Bari, che dice: “Le università possono decidere di investire e riservare delle risorse per persone provenienti dall’estero e possono immaginare di fare delle operazioni di co-investimento su queste misure”. C’è bisogno quindi che università e governo “remino nella stessa direzione”.

Il punto, però, non è solo quanto si spende, ma per quanto tempo vengono rinnovati i finanziamenti. “E’ sempre meglio avere poche risorse ma in modo continuativo, piuttosto che più soldi, ma una tantum”, chiarisce Cupertino. Gli fanno eco la rettrice Iannantuoni, che sottolinea l’importanza di una continuità nei passi in avanti da parte del governo, e il rettore Midiri, che spiega: “Non deve essere un’operazione spot. Deve avere una continuità di almeno cinque anni”. Anche perché, come ricorda Cupertino, “chi decide di trasferirsi in un altro paese, decide di cambiare radicalmente la sua vita e non lo farebbe davanti a una prospettiva di uno o due anni. Lo fa perché immagina di fare una scelta di medio-lungo periodo”.

L’Italia non è però l’unica che si sta muovendo per attrarre i ricercatori. “Il mercato è competitivo”, ammette Cupertino. “L’Italia ha una storia e delle peculiarità nel sistema di ricerca, ma siamo ancora un po’ ingessati. Da una parte per la burocrazia, dall’altra per la rigidità dei salari”. È qui che la competizione con altri paesi europei si fa più difficile. E i finanziamenti, per quanto utili, rischiano di non bastare se il sistema resta ostile ai talenti. Per la rettrice Iannantuoni, però, vale la pena investire sulla qualità della nostra ricerca: “C’è sicuramente tanto da fare, ma la ricerca in Italia è un punto forte, che va valorizzato”.

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