Un viaggio sonoro tra passato e presente: da Berio e Maderna nel Duomo del ’54 ai sub-bass della Metro 2 sotto la Pietà Rondanini, il progetto “Mother” svela l’anima acustica di Milano
Nel 1954, cioè settant’anni prima che il pianista Oscar Pizzo, già direttore del Massimo di Palermo, affiancasse Robert Wilson nel progetto artistico “Mother” attorno alla Pietà Rondanini di Michelangelo e allo Stabat Mater di Arvo Part che sta facendo discutere parecchio i milanesi, la Rai al debutto televisivo aveva curato un progetto sonoro sotto il Duomo. Si intitola “Ritratto di città”, ne scrivo al tempo presente perché si trova ancora online e si può ascoltare, benché il commento sonoro di Luciano Berio e di Bruno Maderna, e soprattutto la voce favolosa di Nando Gazzolo, distraggano parecchio dall’obiettivo che era, ed è, quello di dare una voce umana, riconoscibile e percettibile, alla città del cosmopolitismo nazionale. Simili esperimenti erano stati condotti già alla fine dei Venti a Londra, impossibile confonderla con un’altra anche se ci si ha vissuto solo una settimana, a New York e Berlino, e in questo caso forse si tratterà di un’impressione ex post, ma l’effetto di quelle sirene che sovrastano le voci dei bambini è raggelante.
E’ noto che i bravi direttori del suono siano in grado di distinguere la città dove si trovano anche ad occhi chiusi, dal suono che producono le sue viscere, ancor più che la sua superficie; certo è che per la Rai, quei pochi minuti di suoni e voci furono l’inizio della storia dello Studio di Fonologia, eccellenza dimenticata del palazzo progettato da Gio Ponti, così come noi non sappiamo più percepire i suoni a meno di non stare seduti in platea al Teatro alla Scala o in piedi, ansimanti e sudati, al concertone del Primo Maggio, dove ci viene detto che cosa ascoltare, anzi lo sappiamo in anticipo. Molti fra i moltissimi che in questi giorni fanno la fila fuori dall’Ospedale Spagnolo dove è conservata la grande incompiuta di Michelangelo e borbottano sull’illuminazione di Wilson, per alcuni eccessiva, per altri inutile, per non dire la pietra posizionata accanto illuminata di rosso, non si sono infatti accorti che il progetto è quasi più sonoro che visivo, e che le sue ragioni affondano le proprie radici in quelle dell’umanità stessa. Insieme con l’abbandono collettivo dello studio della musica, ci siamo abituati a concepire la vita quotidiana come una lunga sequenza di hit pop anni Ottanta, come quelle che ci vengono imposte anche nei bar chic alle sette del mattino, senza sapere, o tanto meno immaginare, che il suono, anche quello diaframmatico prodotto da noi e dal nostro cuore, o dei nostri piedi che battono sul selciato o sul pavimento di una chiesa, facciano parte di una liturgia condivisa e oggi dimenticata. Di quella “community” che abbiamo trasformato in strumento di marketing.
Per venire al punto, o per meglio dire al suono, nel momento in cui Wilson, Pizzo e il curatore Franco Laera sono entrati nello stanzone dove è esposta la Pietà, si sono accorti infatti della presenza, a loro molto evidente, del suono sottostante. I cosiddetti sub-bass, che sono frequenze molto basse, al di sotto dei 60 Hz, responsabili delle vibrazioni profonde che sentiamo nel petto o nell’ambiente intorno a noi, in questo punto erano prodotti dalle molte cavità della città sottostante, la città dei Navigli coperti, della metropolitana, e non si potevano cancellare. Semmai si poteva valorizzarli, renderli quarta parte di un racconto para-religioso fra l’io e Metro 2, ha registrato i suoni in una tarda mattinata di qualche settimana fa, e si è accorto che, incredibilmente – c’era una possibilità su dodici – il sottosuolo milanese, area della metro Linea 2, si esprimeva in un micro-gamma sonora compresa fra il La e il La bemolle. Che è la tonalità dello “Stabat mater”, preghiera medievale nella versione vocale e strumentale del compositore estone Arvo Part, qui proposta in versione armonica barocca.
Per dare spazio al valore di questa preghiera nella cultura occidentale non bastano certo queste righe; esistono intere biblioteche. Mentre mi facevo raccontare il progetto, Pizzo mi ha ricordato, vecchie memorie di filologia, di canzoni di tela e di potere incantatorio della musica, come in epoca pre-pasquale, più di mille anni fa, la recitazione dello Stabat Mater fosse accompagnata dall’accensione di un candelabro, le cui ultime luci accese venivano portate dietro l’altare e mosse a fini catartici mentre l’assemblea batteva i piedi in quello che sarebbe stato definito un “tremblement de tendresse”. Ora, tocca accontentarsi del metro. Vuol sempre dire qualcosa. Forse, bisognerebbe spiegarlo a quelli che vedono solo le luci e sbarrano gli occhi come gatti in tangenziale.