La Cina pensa di reggere di più rispetto a un’America malata e marcia

Pechino scommette sugli Stati Uniti che si indeboliscono da soli e su un’Europa che chiacchiera di autonomia o grandi accordi, senza fare mai sul serio, né in fretta

La guerra dei dazi di Trump col mondo ha rivelato, dopo i confusionari fuochi d’artificio iniziali, il solito spartito: il conflitto tra Stati Uniti e Cina. Trump continua a mandare segnali di ammirazione per la leadership del segretario generale Xi Jinping, come ha sempre fatto. In termini tattici, tutto potrebbe risolversi in una nuova cerimonia, come quella del gennaio 2020. In pratica, le filiere che compongono la nostra vita non possono subire senza danni la distruzione della relazione commerciale tra Stati Uniti e Cina.

Centinaia di miliardi di interscambio sono prodotti finiti e container insostituibili da un giorno all’altro. O da un mese all’altro. Per queste ragioni, lo scontro potrebbe ancora interrompersi con uno show e una stretta di mano.

Non possiamo però escludere che questa fase del conflitto vada fino in fondo. Verso uno scontro militare a Taiwan, verso la guerra atomica? Oltre a sperare di no, possiamo ritenere più probabile una guerra dell’orologio: gli Stati Uniti e la Cina misureranno la tenuta dei loro sistemi nel tempo. Non nel lungo periodo in cui si vedrà, un giorno, la debolezza demografica della Cina. La chiave è il medio periodo in cui conta la tenuta dei sistemi economici, politici e sociali.

Per questo la Cina risponde con forza. Da un lato, il Partito comunista non può proiettare debolezza all’interno. Dall’altro lato, è convinto che il sistema degli Stati Uniti sia autodistruttivo e indebolito. La Cina considera sempre l’orologio della democrazia, la divisione dei sistemi europei condizionati da miriadi di elezioni diverse e, per gli Stati Uniti, il conto alla rovescia per le elezioni di metà mandato. I cinesi riconoscono il dinamismo dell’economia e della tecnologia americana, ma vedono anche che Laura Loomer fa licenziare il capo della National Security Agency. Nelle pause di lavoro, i burocrati comunisti si scambiano senz’altro battute sull’uso di Signal. Wang Huning, il “mago di Pechino”, l’intellettuale più influente al mondo, ha già scritto nel libro del 1991 “America Against America” che gli Stati Uniti considerano inimmaginabile l’idea che gli altri possano superarli e che davanti a un avversario più forte rispetto al Giappone degli anni 80 avrebbero rischiato una spirale di frustrazione.

In un’escalation, la Cina è convinta di poter reggere di più, fino in fondo, rispetto a un’America malata o marcia. In questi anni, ha già dato corpo al suo mito di resistenza alla guerra tecnologica, col ritorno di Huawei, il cui fondatore Ren Zhengfei sedeva di fronte a Xi Jinping nell’incontro coi leader tecnologici di poche settimane fa. Xi ha stretto poi la mano a Liang Wenfeng di DeepSeek. Mentre Elon Musk cazzeggia online e interviene nella politica europea, Lei Jun di Xiaomi (azienda fondata nel 2010) lavora ogni giorno per ottimizzare il software delle sue auto, senza dare fastidio all’opinione pubblica mondiale. Pechino ha già fatto i conti e pensa che gli Stati Uniti non torneranno mai una potenza manifatturiera. Certo, ci saranno molti più investimenti, annunci eclatanti per placare Trump, e qualcosa si realizzerà sul serio, ma la struttura delle filiere non cambierà davvero a favore di Washington. E l’America di Trump non riuscirà a coalizzare il resto del mondo contro la Cina.

Proprio qui va visto l’investimento tattico di Pechino sull’Europa. Da un lato, la Cina è una potenza esportatrice, concorrente degli europei in molti settori, non solo l’automotive. Dall’altro lato, la Cina guarda con interesse la crescita della domanda europea (per i propri prodotti) ma non crede alla realizzazione di un mercato transatlantico nell’èra di Trump, il replay del Ttip di cui ha parlato Merz: se si facesse sul serio, potrebbe impensierirla di più. Ma per ora non esiste nemmeno un vero mercato europeo, come sappiamo! Per la Cina, difficilmente gli europei saranno uniti in una grande alleanza contro di lei. Esempio: perché l’Ungheria, con investimenti di Byd e Catl, dovrebbe schierarsi contro Pechino per sostenere un amico come Trump, che non investe?

Così la Cina in questa guerra dell’orologio scommette su un’America che si indebolisce da sola nei rapporti internazionali e su un’Europa che chiacchiera di autonomia o grandi accordi, senza fare mai sul serio, né in fretta. La Cina si sente una grande potenza. Il suo pericolo è sopravvalutare la propria tenuta, in un sistema divenuto molto più dipendente da Xi Jinping e in cui non mancano i casi di instabilità, soprattutto negli apparati militari.

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