L’esplorazione dell’arte come strumento di connessione e rivelazione, lavorando senza uno studio fisso. Il loro cinema racconta storie di identità e marginalità, con un linguaggio sperimentale ispirato a grandi maestri della settima artes
Nome: Gianluca e Massimiliano De Serio
Luogo e anno di nascita: Torino, 15/12/1978
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L’intervista
Intervista realizzata in collaborazione con Anna Setola
Che cos’è per voi lo studio d’artista?
Fino a qualche mese fa avevamo uno studio nostro, a Torino, che condividevamo con un amico editore di fumetti. Ora per ragioni logistiche abbiamo dovuto lasciarlo, e così, in attesa di un nuovo spazio, siamo tornati a quella dimensione più errante che ha contraddistinto i nostri primi passi. Al momento non abbiamo, infatti, un vero e proprio studio d’artista. Anzi, non ne abbiamo uno solo, ma svariati: strade, caffè, casa, biblioteche. Siamo sempre un po’ ovunque. Naturalmente, quando entriamo nella fase di post-produzione, ci serve per forza un posto dove “stare”. Tendenzialmente, a Gianluca piace avere davanti una finestra, a Massimiliano una pagina bianca. Può succedere, a volte, che la pagina diventi una finestra, e la finestra diventi una pagina.



Qual è la funzione dell’arte oggi?
La funzione dell’arte oggi è la stessa di sempre: connetterci con l’invisibile, inteso sia come ciò che non si vede e si nasconde dietro le cose, ma anche come ciò che non vogliamo vedere. Per questo motivo l’arte può essere rivelatrice e allo stesso tempo spaventosa, disturbante, inopportuna. In ogni caso, se fuori da dinamiche meramente consumistiche e commerciali, l’arte può aiutarci a cambiare il mondo creando punti di unione fra le persone.
In che modo il vostro cinema esplora le tradizioni e le culture meno conosciute?
Ciò che ci interessa è esplorare i linguaggi espressivi di comunità o singoli che vivono in situazioni esistenziali, sociali o geografiche marginali, e che lottano per rivendicare la propria identità. Crediamo che nei bordi e negli angoli delle società ci siano nuovi immaginari, modi non allineati di vedere e interpretare la realtà che ci circonda. Senza abbandonare il nostro punto di vista, la sfida è quella, di volta in volta, di creare uno spazio di incontro tra il nostro linguaggio filmico e questi altri linguaggi.
A cosa state lavorando?
Stiamo preparando un film di finzione che si muove tra colonialismo italiano e Resistenza, ispirato alla vicenda vera di un giovane somalo.
In che modo il linguaggio delle vostre installazioni dialoga con il vostro cinema?
In realtà è da un po’ di tempo che non stiamo realizzando lavori installativi, pensati per spazi espositivi, perché ultimamente il cinema ci ha impegnato molto in termini di tempo ed energie. Abbiamo, tuttavia, nuove idee per installazioni che ci girano in testa e che presto vorremmo portare a termine. In ogni caso, l’approccio a un’installazione e a un film è lo stesso, sgorga dallo stesso flusso di coscienza. Il processo creativo è il medesimo, strutturato nelle fasi del brainstorming, dei sopralluoghi e delle riprese. Se ripensiamo ai lavori realizzati per contesti più espositivi e a quelli pensati per il cinema, ritroviamo dei canali di comunicazione, delle connessioni: una certa ossessione per il gesto umano, che mettiamo al centro del nostro sguardo, il posizionamento sempre “con” i nostri protagonisti e mai “sopra”, e una certa attitudine a partire da realtà concrete, diremmo anche politiche, e a trasfigurarle in un ambito più spirituale. Inoltre, cerchiamo di non considerare le installazioni come oggetti da fruire in modo intermittente, come ci si aspetterebbe, ma spingiamo per una visione comunque immersiva, tipica del cinema.
Com’è organizzata la vostra giornata?
Ci vediamo, prendiamo un caffè per aiutarci a partire, e cominciamo a organizzare il lavoro da fare nella giornata. Poi ci dedichiamo a ogni singolo aspetto, spesso dividendoci i compiti, sfruttando il nostro essere in due. Inoltre ci scambiamo i rispettivi compiti per correggere o integrare il lavoro fatto dall’altro. In questo modo le idee non sono mai uguali a se stesse, ma si rinnovano grazie al cambio di sguardo. Infine ci lasciamo con dei punti interrogativi, delle questioni da affrontare il giorno seguente che in qualche modo ci portiamo a casa. Il pensiero fuori dallo spazio-tempo lavorativo è molto produttivo, e il giorno dopo si parte proprio da lì, dalle domande sulle quali si è riflettuto.
Quali sono le principali sfide nel raccontare storie di identità e marginalità? Che ruolo ha per voi il rapporto tra cinema e comunità?
La sfida principale è quella di dover tenere insieme etica ed estetica, cercando di compiere scelte formali e di contenuto il più possibili coerenti, di volta in volta in grado di spostare il paradigma di partenza.
Quali sono i vostri riferimenti visivi e teorici?
Nel nostro lavoro convivono amori di gioventù, che tuttora persistono, con nuove scoperte, anche non per forza legate alla storia dell’arte o del cinema. Sicuramente ci sono dei registi a cui dobbiamo molto: Manoel De Oliveira, Paulo Rocha, João César Monteiro, Alain Cavalier, Pier Paolo Pasolini, Roberto Rossellini, Tsai Ming-liang, Hou Hsiao-hsien, Jonas Mekas, e altri.
In che modo avete iniziato a fare gli artisti?
Abbiamo iniziato andando al cinema Massimo di Torino, la sala del Museo Nazionale del Cinema di Torino, in particolare frequentando la sala 3, quella dedicata da sempre alle rassegne e alle retrospettive. Fin da giovanissimi ci chiudevamo per tutto il pomeriggio e la sera a vedere 3-4 film di seguito, e una volta usciti ci divertiva fare l’analisi di ciò che avevamo appena visto. È in quelle discussioni che è nata in noi la voglia di provare a girare prima dei piccoli cortometraggi, poi dei film più lunghi e complessi.
Inoltre, nostro padre era un dipendente Enel, e per i figli dei dipendenti l’azienda organizzava delle vacanze a tema. Una di queste vacanze ci dava l’opportunità di partecipare a una giuria di giovani alla mostra del cinema di Venezia. Per essere selezionati si doveva mandare un cortometraggio, e quella fu l’occasione per cimentarci davvero con la pratica. Ricordiamo ancora il primo film breve, dal titolo Il fiore, molto “familiare”, dove infatti recito io (Gianluca), un nostro cuginetto, e dove compare nel finale la foto di nostra nonna mancata da pochi mesi, a cui il film era dedicato. In quel piccolo lavoro, per certi versi molto ingenuo, c’erano già delle ossessioni, degli elementi che torneranno poi nei film più maturi. Poi seguirono una serie di altri cortometraggi girati in pellicola, che furono selezionati a moltissimi festival in giro per il mondo e che, più avanti, forse per via dell’omogeneità di tematiche, poetica e stile, furono captati anche dal mondo dell’arte. E da lì iniziammo, con l’idea di non replicare mai dinamiche già rodate, ma di sperimentare sempre qualcosa di nuovo.
Le opere
Maria Jesus
(Italia, 2003, 13’)
Still da film
TRAFFICANTE
Margarida Estrela Perez. Questo è il tuo nuovo nome.
Animalove
(Parte dell’installazione a 5 canali Love, Italia, 2009)
Still da video
GIAMPIERO
La incontrai nel 1990.
Eravamo in una discoteca enorme, che sembrava un paesaggio pieno di animali.
Bakroman
(Documentario, Italia, 2010, 100’)
Still da film
RAGAZZO DI STRADA
Che lavoro ti piacerebbe fare?
ABU
Vorrei fare il Ministro. E poi vorrei diventare una persona.
Stanze
(Installazione a 1 canale, Italia, still, 2010)
SUAD
Chi ha percosso colui
che Dio non ha ancora chiamato a sé?
Chi ha preso a bastonate la mia stella?
Con chi mi arrabbierò? Con chi dovrò discutere?
Sette opere di misericordia
(Italia/Romania, 2011, 103’)
Still da film
ADRIAN
Luminita, Luminita.
LUMINITA
Tu non mi conosci, va bene? Io non sono Luminita.
(…) Cosa ti hanno fatto?
ADRIAN
Ti stanno cercando.
Un ritorno
(Italia, 2013, 25’)
Still da video
MEDICO IPNOTISTA
Come te lo immagini tuo fratello Massimiliano?
GIANLUCA
Me lo immagino con la testa gigante.
The Sasha dream
(Polaroid, dalla serie “The Sasha dream”, Ucraina, 2015)
NOI
Cosa vuoi fare da grande, Sasha?
SASHA
Il pescatore, voglio stare qui sul mare di Asov e pescare tutti giorni.
I ricordi del fiume
(Documentario, Italia, 2015, 96’)
Still da film
JON
Devi essere orgoglioso di quello che hai fatto in questi primi 10 anni di vita. Sei stato a scuola, sei libero, hai una famiglia unita…
CRISTI
Tanto prima o poi tutti moriremo.
Spaccapietre
(Italia/Francia/Belgio, 2020, 104’)
Still da film
ROSA
E tu, che hai fatto all’occhio?
GIUSEPPE
Spaccavo le pietre in una cava, e una scheggia…
ANTO’
E da quel giorno il suo occhio è diventato tutto bianco,
e ha iniziato ad avere i super poteri. (…)
Io da grande voglio fare l’archeologo.
GIUSEPPE
È fissato con i cocci, i dinosauri…
ROSA
È una bella cosa, sai?
Quando ero piccola io,
dentro gli scavi si poteva andare liberamente,
e giocavamo a nascondino tra le tombe…
Canone effimero
(Documentario, Italia, 2025, 120’)
Still da film
VINCENZO
Questo è un arco speciale, non solo perché l’ha fatto “zio” Ciccio Staltari, ma anche perché questo è un anello che congiunge me a lui. Uno di quegli oggetti che congiungono, come le zampogne, i “mammi”: congiungono, congiungono le persone.