Il piano alla base della “purga della propaganda” nei campus dell’Heritage Foundation

Per “smantellare il network di sostegno pro Hamas in America” il think tank propone di espellere gli studenti che hanno organizzato le proteste e licenziare i docenti “sponsor” del terrorismo. Ma il rischio è che sia colpito chiunque faccia parte del mondo progressista o che semplicemente sia critico di qualche politica promossa da Israele

Sul sito della Heritage Foundation viene presentato in modo anodino come progetto “per combattere l’antisemitismo”, ma Project Esther in realtà è il corollario del ben più noto Project 2025 ed è di fatto un piano per purgare il dissenso nelle università. A rileggerlo ora, a qualche mese dalla sua pubblicazione (è stato diffuso il 7 ottobre 2024, un anno esatto dopo l’attacco di Hamas allo stato d’Israele) però si vede che ancora una volta è utilizzato come manuale d’uso per spazzare via le proteste dai campus. Ovviamente l’obiettivo espresso in modo aperto è differente: “Smantellare il network di sostegno pro Hamas in America”. Il riferimento del titolo è a Esther, personaggio biblico che riuscì a evitare con le sue azioni lo sterminio degli ebrei in Persia. Allo stesso modo il think tank conservatore vuole fermare un processo simile in corso negli Stati Uniti a opera del cosiddetto “Hamas Support Network” descritto quasi come un’organizzazione unitaria e un patchwork disorganico di decine di associazioni studentesche sparse in America. Il dito è puntato contro il Palestinian Solidarity Committee ma anche contro gli American Muslim for Palestine e le Jewish Voices for Peace.

Si fa anche una lista delle università che hanno ospitato le proteste, dei professori che hanno sostenuto la causa palestinese il cosiddetto “Hamas Caucus” che, oltre a due note esponenti democratiche filopalestinesi come Rashida Tlaib e Ilhan Omar, comprende altri membri dell’ala progressista dei democratici, compreso Bernie Sanders. Le azioni che vengono proposte comprendono: espellere gli studenti che hanno organizzato le manifestazioni, anche a costo di revocare la loro green card e trattenere i fondi federali per quelle università che non hanno fatto abbastanza per proteggere gli studenti ebrei. Proprio quello che è successo con l’arresto del laureato della Columbia University Mahmoud Khalil e con la già citata università newyorchese, costretta, tra le altre cose, a “commissariare” i corsi di studio sul medio oriente.

Altre misure proposte, ma finora inattuate, sono quelle che riguardano il licenziamento dei docenti ritenuti “sponsor” del terrorismo. Un piano che va ben oltre la pluridecennale lotta al terrorismo condotta dal governo americano sin dagli anni dell’Amministrazione di George W. Bush, che per inciso non ha mai limitato le manifestazioni in nessun modo, nemmeno quando lo stesso presidente veniva pesantemente contestato. Alcuni progressisti temono che queste azioni siano la spia di un altro elemento sottaciuto: molti sostenitori del nazionalismo cristiano-evangelico hanno un’influenza enorme nel gestire la questione e il bollino di sostenitore di Hamas potrà potenzialmente essere applicato a chiunque faccia parte del mondo progressista o che semplicemente sia critico di qualche politica promossa da Israele.

Una lunga analisi pubblicata da The Chronicle for Higher Education, magazine specialistico dedicato al mondo accademico, evidenzia proprio questo rischio. Non solo: viene totalmente ignorato l’antisemitismo di destra che ha raggiunto tribune importanti come il programma diffuso su X da parte di Tucker Carlson: l’ex conduttore di Fox News sta sposando sempre più posizioni sottilmente antisemite nelle sue conversazioni, specialmente in un’intervista in cui ospita lo scrittore negazionista Darryl Cooper che ha descritto Churchill come il “vero cattivo della Seconda guerra mondiale”.

L’Amministrazione Trump nega qualsiasi legame dicendo che il governo si limita “a difendere Israele con ogni mezzo e a cacciare chiunque sostenga il terrorismo” dal territorio americano, come dichiarato recentemente da Harrison Fields, vice portavoce della Casa Bianca. Queste connessioni però, oltre a non avere conseguenze di nessun tipo su un’opinione pubblica che non ama certe manifestazioni filopalestinesi, confermano il sempre maggiore distacco dell’Amministrazione Trump dal rispetto del Primo Emendamento che tutela la libertà d’espressione, anche quando afferma qualcosa di deplorevole.

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