Il Pakistan è riuscito a far sparire Mahrang, che difende le donne del suo Balochistan

Attivista per i diritti umani scompare per aver denunciato le sparizioni forzate. Il suo caso evidenzia la brutale repressione dello Stato contro chi sfida il silenzio imposto sul conflitto

New Delhi. “Loro” sono armati di fucili, granate, gas lacrimogeni e bastoni. Lei ha soltanto la sua voce: una voce così potente da essere considerata da “loro” alla stregua di un’azione di guerriglia. Lei è Mahrang Baloch, una giovane donna a capo della Baloch Yakjehti Committee, movimento per i diritti umani che chiede il ritorno delle persone scomparse a migliaia in Balochistan a opera dello Stato pachistano. “Loro” sono i membri della polizia, dell’esercito e dei servizi segreti di Islamabad che negli ultimi quattro giorni hanno sparato a sangue freddo, tirato granate e gas lacrimogeni e preso a bastonate una folla disarmata composta in gran parte di donne e bambini che protestava chiedendo il ritorno degli scomparsi. Ci sono stati almeno cinque morti e centinaia di feriti: alle ambulanze è stato impedito di raggiungere il luogo del massacro, le linee elettriche e telefoniche sono state disattivate e gli uomini dei servizi, in abiti civili, hanno dato fuoco a case e negozi. Uno dei morti aveva dodici anni.


Mahrang è stata prelevata assieme ad altre sette donne e a una decina di uomini ed è in custodia da oltre 48 ore: non le è stato permesso di vedere un avvocato e, fino all’altra sera, non erano state inoltrate accuse formali a suo carico.

Poi è comparso un mandato in cui viene accusata di terrorismo, sedizione, turba dell’ordine pubblico e incitamento alla rivolta. Alla famiglia non è stato permesso nemmeno di farle arrivare cibo e un cambio di abiti. Quattro delle altre donne, tra cui la sorellina quattordicenne di Mahrang, sono state rilasciate: le altre sono ancora detenute senza accuse formali e senza un legale. Gli uomini sono semplicemente scomparsi, come migliaia prima di loro. Perché in Balochistan, regione illegalmente occupata dal Pakistan nel 1948, ogni anno scompaiono migliaia di persone. A volte riappaiono, uccise e gettate ai bordi delle strade con addosso segni di tortura. O nelle fosse comuni, scoperte per caso e immediatamente occultate dallo stato, o anche prive di organi, gettate come rifiuti sui tetti degli ospedali. La storia di Mahrang, dottoressa in Medicina, comincia nel 2006, quando suo padre scompare dall’oggi al domani. Dopo anni di richieste, di preghiere e di proteste, il suo corpo viene infine ritrovato nel 2011, gettato come immondizia al ciglio di una strada. Nel 2017, a scomparire è suo fratello. “E’ stato il momento in cui ho deciso di protestare per tutti”, ha dichiarato Mahrang. Che nel 2019 fonda la Baloch Yakjethi Committee: “Abbiamo iniziato una mobilitazione di massa nelle scuole”, continua la donna, “e siamo andati di porta in porta per fornire ai giovani, soprattutto alle ragazze, un’educazione politica e sociale”. E il 23 novembre del 2023, insieme a migliaia di altre donne, si mette in viaggio verso Islamabad alla testa di madri, figlie, sorelle e mogli delle migliaia di persone che ogni anno scompaiono nella regione a opera dell’esercito e delle cosiddette “Death Squad”, le squadre della morte a cui lo stato ha appaltato prigioni private e celle di tortura.



Lo scorso luglio organizza un grande raduno a Gwadar e centinaia di migliaia accorrono da tutto il Balochistan: questa volta, lo Stato manda due killer ad assassinarla. La giovane donna viene in seguito invitata da diverse organizzazioni internazionali, e la rivista Time la inserisce nella sua lista dei cento giovani leader più influenti al mondo. Le autorità pachistane però le impediscono di partecipare al galà di premiazione e le sequestrano il passaporto. Subito dopo, viene nominata dalla Bbc tra le cento donne più influenti del momento. L’Isi, l’Inter-Services Intelligence pachistana, mette in atto una vera campagna diffamatoria a mezzo social media, ma inutilmente. Lo scorso gennaio un altro raduno a Dalbandin riunisce migliaia di persone e la giovane donna viene subito dopo candidata al Nobel per la Pace. Troppo, per Islamabad. “Lo so che mi prima o poi mi prederanno”, aveva dichiarato Mahrang tempo fa, “ma l’unione è la nostra forza, e io non ho intenzione di tacere”. La relatrice speciale delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani, Mary Lawlor, ha espresso “profonda preoccupazione per l’accaduto” chiedendo l’immediato rilascio della ragazza. Per il momento Mahrang è in qualche modo protetta dalla sua fama internazionale, ma non si sa per quanto. Perché un giorno, vicino o lontano, qualcuno la ucciderà. Perché il Balochistan è lo scheletro nell’armadio, un armadio già zeppo di scheletri ingombranti, del Pakistan. Un armadio protetto da una coltre di silenzio. Un silenzio che il mondo dovrebbe ascoltare prima che sia troppo tardi, e che del Balochistan, e di Mahrang e le altre, rimanga soltanto il ricordo.

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