Perché settembre è il mese prodigio della vita e della rinascita

Sul finire dell’estate ci si sposa, si registra il più alto numero di nascite e si muore di meno. E ci si trasferisce anche di più: e anche questa è una buona notizia

“Settembre settembrino, / matura l’uva e si fa il vino, / matura l’uva moscatella: / scolaro, prepara la cartella!”. Così Gianni Rodari che, nella “Filastrocca dei dodici mesi”, dedica una strofa a ciascun mese dell’anno. Ma settembre merita un posto particolare in una filastrocca che intende rivolgersi in modo particolare agli adulti e allargare lo sguardo su fenomeni che dalle stagioni, il tempo il clima l’aria i profumi, precipita o pur anche si innalza ai fenomeni della popolazione, le nascite e le morti, le migrazioni.

Ed è così che se per T.S. Eliot aprile è il mese più crudele, esistenzialmente parlando, a stare ai dati statistici settembre è il mese più dolce, demograficamente parlando. Ma che dico dolce. Esplosivo, piuttosto. Il mese baciato da tutte le fortune possibili, anche da quelle che in punta di teoria non gli spetterebbero neppure. Si prendano le nascite. Da sempre settembre fa segnare il più alto numero di nascite.

Ragionando, come faremo anche per gli altri fenomeni demografici, sulle medie giornaliere del quinquennio 2019-2023 (i dati del 2024 non si conoscono ancora), così da annullare la diversa lunghezza in giorni dei mesi, a settembre sono nati 1.215 bambini al giorno, contro una media giornaliera annua di 1.094, con il minimo nel mese di aprile con 980 nascite giornaliere. D’accordo, non propriamente distacchi stratosferici, ma occorre considerare che questi distacchi, punto più punto meno, si ripetono nel tempo confermando la primazia del mese di settembre. Primazia che però, si potrebbe obiettare, non deriva da suoi meriti specifici. Le nascite di settembre conseguono infatti a concepimenti di dicembre dell’anno precedente, cosicché settembre arraffa in fatto di nascite i meriti di un altro mese. Può essere vista anche così, la cosa, in effetti, ma il dato di fatto è che le nascite sono di settembre, non di dicembre o di qualche altro mese. È a settembre, per intenderci, che va in scena la festa. E dal momento che le feste per i bambini che nascono non si sprecano, essendo sempre meno i bambini che nascono in Italia, teniamoci ben stretto questo primato che tradotto sul piano annuo significherebbe peraltro quasi 50 mila nascite in più all’anno. Proprio quelle che ci vorrebbero.

In realtà le nascite di settembre seguono a concepimenti di dicembre dell’anno precedente. La minore mortalità invece è un primato puro

E per un primato che potrebbe far storcere la bocca a schizzinosi e puristi, eccone uno che più endogeno, più diciamo pure autoctono, non si può: quello della minore mortalità del nostro magnifico mese. E mentre quello della natalità è primato insidiato da tre o quattro mesi, che pure non riescono a scalzarlo dal piedistallo, quello della mortalità è insidiato, con ancora minore successo, dal solo mese di giugno. I distacchi sono più netti di quelli che si verificano per le nascite. Ecco tre numeri: 1.634, 1.896, 2.207. Sono, rispettivamente, i morti medi giornalieri di settembre, dell’anno, e di gennaio, il mese con la maggiore mortalità.

Occorre soffermarsi un momento per cercare di afferrare il significato di distacchi che non si producono certo a caso. La media giornaliera dei morti registrata nel quinquennio 2019-2023 corrisponde a un numero medio di morti all’anno pari a 692 mila, mentre la media giornaliera di settembre corrisponde a 596 mila morti all’anno, quasi 100 mila morti in meno all’anno che, nell’arco del quinquennio, valgono quasi mezzo milione di morti in meno. Il vantaggio di settembre non è certo cosa da poco. In termini di rischio, a settembre il rischio di morte è il 14 per cento inferiore a quello che si corre nel corso dell’anno e questo mentre il rischio di morte del mese di gennaio è del 35 per cento superiore a quello del mese di settembre.

A settembre il rischio di morte è il 14 per cento inferiore a quello che si corre nel corso dell’anno. Gennaio è invece il mese in cui si muore di più

Riassumendo: cinquantamila nati in più all’anno; centomila morti in meno all’anno: se i dati del mese di settembre si estendessero a tutto l’anno l’Italia respirerebbe indiscutibilmente una ben diversa aria demografica, la popolazione italiana godrebbe di una ben più alta vitalità, il movimento naturale della popolazione dato dalle nascite meno le morti non sarebbe negativo di quasi 300 mila unità all’anno bensì della metà. Mese salubre, dunque, mese virtuoso per eccellenza, questo di settembre, dal punto di vista demografico e conseguentemente da un sacco di altri punti di vista.

E non basta. Perché c’è un ambito dell’umana esistenza in cui, più ancora che nelle nascite e nelle morti, il mese di settembre straccia la concorrenza: il matrimonio. In base ai suoi 30 giorni in settembre dovremmo avere l’8 per cento dei matrimoni celebrati nell’anno, mentre invece se ne registrano più del 20 per cento: 1.125 matrimoni al giorno in settembre rispetto a una media giornaliera annua di 457, un distacco che parla da solo e ci dice quanto gli italiani cerchino o aspettino settembre per sposarsi, sia che lo facciano davanti al prete sia che lo facciano davanti all’ufficiale di stato civile, anche se nel matrimonio religioso lo strapotere del mese di settembre risulta ancora più accentuato. Se a questo si aggiunge il fatto che il primato matrimoniale settembrino è venuto consolidandosi nel tempo e che ancora appare in espansione si avrà un’idea di quanto gli italiani amino sposarsi a settembre.

Ma allora tra le nascite in più e il profluvio di matrimoni non si può forse arrivare a concludere che quello di settembre è il vero e proprio mese della vita e della gioia – oltretutto non guastate, tutt’altro, arricchite semmai, da un numero di morti mai altrettanto basso nel corso dell’anno? Logica vorrebbe una risposta piena: sì, indiscutibilmente. E dunque: viva settembre!

E invece non è così che viene rappresentato settembre. Ma quale mese gioioso; mese di umori e sentimenti malmostosi, piuttosto. E già il giudizio è benevolo, a sentire gli italiani. Il mese che segna la ripresa del lavoro dopo la pausa estiva e le ferie; il mese che allontana l’estate e introduce all’autunno, non raramente rivestendosi d’autunno a sua volta, precocemente intristendo ambienti e scenari. Dio ci scampi da settembre, questo sembrano pensare gli italiani puntualmente raggiunti, nel tramonto dell’agosto, ai caselli autostradali da insistenti intervistatori televisivi mentre, intruppati in file interminabili di automobili sotto il solleone, disbrigano i riti del rientro dopo la tappa del panino mozzarella e prosciutto che hanno appena addentato, fermo nello stomaco per il resto del viaggio. Settembre?

C’è chi non baderebbe a piangere al solo sentirselo rammentare, il nome di quel mese così intrinsecamente associato al pensiero del ritorno alla quotidianità: riprendere ad alzarsi al mattino, sempre alla stessa ora, antelucana per di più, tornare alle faccende solite, le stesse incombenze, il micidiale tran-tran messo alle spalle due o quattro settimane prima. Ci rendiamo conto? Si rendono conto gli intervistatori che pure tutti gli anni si sentono dire le stesse cose, ripetere fino alle singole parole piagnucolanti dagli ormai ex villeggianti, campeggiatori, turisti che magari sono appena stati sfornati dal ventre smisurato di una pantagruelica nave da crociera assieme ad alcune altre migliaia di evasori dalla quotidianità costretti dal destino cinico e baro nella quotidianità a rientrare tamburo battente senza tanti complimenti? Settembre? Ma per carità, chi mai lo vuole settembre?

Il contrasto con un’immagine di mese di umori e sentimenti malmostosi. Il rientro dalle ferie e la ripresa del micidiale tran-tran

“E mo ca mme dice addio pure tu perdo tutt’ ‘o munno cu tte sulo settembre resta cu mme”. “Settembre cu mme”, canzone presentata al Festival della canzone napoletana del 1961 da Mario Trevi e Johnny Dorelli, e in seguito portata al successo da Sergio Bruni, è l’inno alla tristezza irrimediabile, incomprimibile e inesorabile che come un’etichetta non ci peritiamo di appiccicare al mese di settembre. Non si scappa dalle mani di settembre che sempre ti raggiungono col loro volerti accarezzare con un’aria più lieve e quieta e fresca. Cosa resta, in un’alba di settembre, all’innamorato della canzone di tutte le cose belle dell’estate, di notti profumate di sogni, di spiagge ricamate di mare, cosa se non, appunto, lui, esso, egli, settembre? Sole nell’ombra, dice la canzone. Sole nell’ombra.

Dunque il ritorno di settembre riporta giù a terra innamorati e sognatori? Rappresenta quel bagno nella dura e grigia, ombrosa appunto, realtà delle cose e della vita, dalla quale invano tentiamo con l’estate di staccarci? Ma già lo straordinario numero dei matrimoni fa a pugni con una tale rappresentazione di settembre. Un mese da accantonare e potendo evitare, e si corre a sposarci? Ma c’è di più, c’è ancora un primato del nostro mese – pur se condiviso alla pari con ottobre e gennaio – che non c’è modo di inquadrare nell’ombrosità un filino depressiva che sembra rappresentare il clou del sentimento covato dagli italiani nei confronti del mese di settembre. Sembra. Perché, diciamocelo, in sé settembre non è malmostoso, non è triste, non è ombroso. E’ un mese di vita, di gioia, di festa. Cosicché il sentimento degli italiani per settembre è in realtà nascosto come una carta di poker – e semmai è raccontato per depistare. Chi se la sente, interrogato, di ammettere di preferire tra tutti se non proprio di amare il mese di settembre? Col rischio di passare da stakanovista della quotidianità, della ripetitività di azioni e reazioni, tutto casa e lavoro? La maledizione che pesa sul mese sta tutta nell’immagine, e nella fama, che esso proietta di sé come il mese del ritorno alla vita di sempre, di tutti i giorni, il mese che mette fine ai misurati eccessi e alle controllate follie, alle divagazioni e agli sconfinamenti dell’estate in territori che ci piace raccontarci come incogniti anche quando non sono che più banalmente, e semplicemente, non ancora conosciuti.

Ma già è impossibile inquadrare nascite e matrimoni nel segno del ritorno alla quotidianità, della quale rappresentano semmai quelle formidabili rotture che immettono in nuove dimensioni dell’esistenza. E che dire, ed eccoci a quell’altro primato del quale ancora non abbiamo detto, dei cambiamenti di residenza da un comune a un altro? Del pigliare e cambiare casa, cambiare oltre al comune, spesso anche la provincia e la regione. Voltare pagina?

Se stagionalità ha da esserci al riguardo ci si aspetterebbe quella che vede gennaio come il mese di gran lunga preferito per cambiare casa, residenza, comune, spostarsi anche lontanissimi rispetto a dove si è finora vissuti. E infatti così è: anno nuovo vita nuova, potremmo chiosare. Ma assieme a gennaio, e sullo stesso livello, ecco ancora una volta il nostro mese di settembre assieme a quello immediatamente successivo di ottobre. Facciamoci queste vacanze, lasciamo passare l’estate, che dopo ci spostiamo altrove, cambiamo casa e vita. Si dicono questo, dunque, gli italiani? Seguono davvero questa linea di ragionamento? Questi progetti? Parrebbe.

Di nuovo i distacchi sono contenuti, le medie giornaliere degli spostamenti territoriali-abitativi nei tre mesi indicati di gennaio, settembre e ottobre dicono che gli italiani che lo fanno in questi mesi, di cambiare comune di residenza, sono stati nel quinquennio esaminato attorno ai 4.370 al giorno contro una media giornaliera annua di circa 3.900, con differenze contenute dell’11-12 per cento in più, che però non fanno che tornare e ripetersi, così da costituire una regolarità indiscutibile. Ed è così che settembre si ritrova ad essere il mese primo, nel senso pieno di migliore, in tutti i fenomeni demografici, nessuno escluso. Primo per nascite, maggiori in questo mese; primo per le morti, minori in questo mese; primo nei matrimoni, più numerosi in questo mese; primo negli spostamenti territoriali, ai quali più si ricorre in questo mese. C’è di che rimanere allibiti. E’ come se i nostri comportamenti demografici o che hanno una decisiva ricaduta in ambito demografico, morte inclusa, convergessero nell’eleggere settembre come il mese della salute demografica della popolazione italiana.

E però, ecco calma e gesso: chi ci dice che spostare la residenza in un altro comune sia un fatto positivo, corrisponda a un fenomeno sociale che si può rubricare come favorevole per la società? Perché se è di tutta evidenza che più nascite, più matrimoni e meno morti rappresentano, specialmente in una popolazione di scarsa vitalità demografica come quella italiana, fenomeni che apportano solo vantaggi a quella popolazione, gli spostamenti territoriali sembrano prestarsi a una lettura decisamente più problematica. E tuttavia in linea generale gli spostamenti interni (altra cosa sono quelli con gli altri paesi) sono normalmente indice di intraprendenza individuale e necessità/ricettività della situazione economico-produttiva: sempre le fasi espansive di economia e benessere sono state contraddistinte da consistenti spostamenti territoriali interni. E viceversa.

In linea generale gli spostamenti interni sono indice di intraprendenza individuale e ricettività della situazione economico-produttiva



Ed ecco così arrivare, per il nostro mese, il tocco che gli mancava: l’intraprendenza e la progettualità che per un verso incontrano e per l’altro strutturano gli assetti più generali della distribuzione territoriale e socio-economica della popolazione italiana. Cosicché non restano dubbi di sorta: dobbiamo aggiornare il modo di raccontare il mese di settembre, così da farlo combaciare non solo con quello che effettivamente è ma anche con il modo in cui, almeno nei reconditi del nostro animo, allorquando nessuno ci interroga al riguardo, sentiamo di pensare del mese. Viva settembre!

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