Da Papa Francesco al segretario distato, il cardinale Andrea Parolin: si predica dialogo e disarmo. Ma con i fiori nei cannoni non si va lontano
“Bisogna insistere a livello internazionale perché ci sia un disarmo generale e controllato”, ha detto il segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin, commentando il piano di riarmo varato dalla Commissione europea per far fronte all’annunciato disimpegno americano in Europa e, più in particolare, in Ucraina. “Non si può quindi essere soddisfatti della direzione che stiamo prendendo, dove, al contrario, si assiste a un rafforzamento degli arsenali”, ha aggiunto il segretario di stato.
Sulla stessa linea il Papa che dal Gemelli ha firmato una lettera spedita al Corriere della Sera in cui ribadisce ancora una volta l’assurdità della guerra (non è certo una novità, è sufficiente ripassare gli Angelus del pontificato, in modo particolare dopo l’invasione dell’Ucraina da parte dei tank russi). Sono parole ovviamente di buon senso, la pace viene prima di tutto. Ma, dato il contesto, rischiano di divenire frasi da cioccolatini, ireniste e nulla di più. La Santa Sede vuole il disarmo. Bene: e dopo esserci disarmati, come si reagirà alle mire espansionistiche di Vladimir Putin? Si riproporrà lo schema caro al neotrumpiano Marco Tarquinio, che proponeva “marce per la pace a Kyiv” mentre la capitale resisteva come poteva ai razzi sparati dal Cremlino? Tornerà alla ribalta la proposta del santegidino Andrea Riccardi di fare della capitale ucraina una “città aperta”? Torneremo ai fiori nei nostri cannoni da opporre all’ingordigia russa? E quale sarebbe la diplomazia da opporre al riarmo? Quella della Santa Sede che accoglieva Putin come l’equilibratore dell’imperialismo yankee mentre questi (quasi alla luce del sole) metteva la zampa sulla Crimea e si preparava a occupare tutta l’Ucraina orientale?
Ricordava su questo giornale il capo e padre della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sviatoslav Shevchuk, che il problema degli occidentali un po’ troppo irenisti è quella di non ricordarsi più cosa significhi vivere sotto il totalitarismo. Forse non se lo ricordano più neanche tanti cattolici, ignari dei più cinici e basilari princìpi della realpolitik.