Lo slovacco a lungo lo hanno fatto giocare da trequartista con il numero 10 sulle spalle. Lui però voleva fare altro, il centrocampista, e sbrogliare situazioni complesse. A Verona, all’Hellas Verona ha trovato il Bengodi
A Ondrej Duda gli avevano detto che doveva giocare in quella terra di nessuno tra attacco e centrocampo, in avanti, perché lì giocavano, dovevano giocare, quelli che avevano buoni piedi. E Ondrej Duda i piedi buoni ce li ha sempre avuti, per questo l’allenatore ungherese Pal Dardai, il giorno che firmò il contratto con l’Herta Berlino chiese alla dirigenza di acquistarlo. Disse loro: “Ondrej Duda è un piccolo artista del pallone, è ideale per il mio modo di giocare”. La società tedesca decise di assecondare l’allenatore, pagarono 4,5 milioni di euro al Legia Varsavia e portarono il giocatore slovacco in Germania. Gli affidarono la maglia numero 10, perché i giocatori come lui dovevano avere la maglia numero 10, gli dissero. Qualche settimana dopo si lacerò il tendine rotuleo. Cercò di affrettare il recupero, si lacerò il muscolo un paio di settimane dopo il ritorno in campo. Stagione finita. I postumi dell’infortunio lo perseguitarono anche in quella successiva.
Solo alla terza stagione a Berlino riuscì a giocare senza dolore: fu un successo. Ondrej Duda dribblava, passava, dava ai compagni messi meglio la possibilità di segnare. E quando era lui quello messo meglio tirava e spesso faceva gol: 11.
Con il pallone ai piedi Ondrej Duda “sembra danzare. Ha la capacità, molto rara, di anticipare nella sua testa dove il pallone andrà, cosa faranno i suoi compagni”, disse di lui Pierre Littbarski, uno che con il pallone ci sapeva fare.
Eppure Ondrej Duda, pensava che tutto questo fosse esagerato e soprattutto limitante. Non capiva perché dovesse occuparsi soltanto di una piccola parte del campo quando c’era tutto un terreno di gioco dove poter scorrazzare, passare, recuperare il pallone. E sì che a inizio stagione aveva dimostrato coi fatti a Pal Dardai quanto gli riuscisse bene giocare un po’ più dietro. Il 15 settembre 2018 contro il Wolfsburg fece un partitone da mezzala. Un partitone che pure la stampa tedesca se ne accorse: fioccarono voti altissimi.
Tornò subito a fare il trequartista perché quelli con i piedi buoni è lì che devono giocare.
Lo spostarono pure più avanti. A fare l’esterno a destra e a sinistra, pure a fare il centravanti. E sì che a lui sarebbe piaciuto stare in mezzo all’azione, correre di più, sbrogliare situazioni intricate, toccare il maggior numero di palloni possibili.
Non glielo fecero mai fare.
Poi arrivò l’Italia, poi arrivò Marco Baroni. E a Ondrej Duda non gli parve vero. Anni prima gli avevano detto che l’Italia è una paese sorprendente, dove accadono cose sorprendenti. Lui pensava fosse una cavolata. Era la verità.
A Marco Baroni avevano detto che gli avrebbero preso un trequartista. Arrivò Ondrej Duda che era un trequartista. Lui lo vide allenarsi, lo provò sulla trequarti, poi, una settimana dopo, gli disse che avrebbe fatto il centrocampista, di non prendersela ma a lui serviva uno che faceva il centrocampista. E Ondrej Duda si sentì felice. Per la prima volta qualcuno lo aveva capito, e senza nemmeno il bisogno di parlarci.
È da oltre due anni che Ondrej Duda fa il centrocampista all’Hellas Verona. Aveva iniziato con Marco Baroni, ha continuato a farlo con Paolo Zanetti, quello che dovevano cacciare a dicembre perché incapace di salvare la squadra ma che tanto incapace non era visto che sta salvando la squadra. Ed è felice, perché in campo è al centro dell’azione, tocca tanti palloni, corre e sbroglia situazioni intricate. Ogni tanto sale, dribbla, tira, segna. Come un tempo, ma finalmente solo quando ne ha voglia. E poi gli fanno tirare le punizioni. E a lui tirare le punizioni piace parecchio. Soprattutto quando il pallone supera la barriera e finisce alle spalle del portiere. Tipo a Udine.
Anche quest’anno c’è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all’aperitivo. Qui potete leggere tutti gli altri ritratti.