Indovina chi viene in piazza per l’Europa

L’appello di Michele Serra, la risposta di una sinistra che vuole esserci, confusa ma insieme. Giovani, i grandi assenti. Tipi, bandiere, tic, lessico, pensieri e nostalgie di un sabato pomeriggio nel cuore di Roma. Una mappa

La piazza per l’Europa chiamata a raccolta dallo scrittore Michele Serra e da trecento sindaci (da Roberto Gualtieri a Gaetano Manfredi a Vittoria Ferdinandi in su e in giù in senso geografico) si offre agli occhi e alle telecamere. Sotto al Pincio, sotto all’obelisco, sotto la pioggia leggera di marzo: blu come la bandiera a stelle gialle della Ue, blu come l’ideale post-it che a fine giornata molti vorrebbero attaccare in cucina, come promemoria: “Rivediamoci ogni mese, come ai tempi dei post-it gialli”, dice una manifestante nostalgica dei bei tempi in cui, complici le “dieci domande” di Repubblica, si poteva scendere in piazza tutti i sabati contro Silvio Berlusconi, e non contro la triade dall’impalpabile e persistente pericolosità Trump-Musk e Putin. Blu, infine, come un tentativo di identificazione collettiva in categoria generica di “sinistra pro Europa”, concetto da contrapporre alla destra nazionalista mondiale come sostituto (per fortuna) del wokismo iper-politicamente corretto ormai in declino. Ultimo ma non ultimo, blu come la giacca indossata dalla segretaria Pd Elly Schlein, coprotagonista ufficiosa della giornata in armocromia forse anche autoconsolatoria. Non si sa infatti che cosa succederà nel Pd, dopo il voto che, a Strasburgo, ha rimandato a Roma l’immagine dei dem divisi sulla questione difesa (e riarmo) europeo. Dieci a favore della posizione della presidente Ue Ursula von der Leyen, undici, e alcuni obtorto collo, a favore della linea di astensionismo della segretaria (l’ex sindaco di Firenze Dario Nardella in piazza dirà, come a discolpa: non si poteva e non si voleva dare l’idea di una banda di smandruppati). Ma intanto lì, nella piazza del Popolo dove tante volte si è riunita la destra, va in scena una sorta di “pride” – marcia stanziale d’orgoglio – di una sinistra che vorrebbe esserci, confusa ma insieme, con un grande punto interrogativo blu, come dice Michele Serra, ma presente comunque, con enormi e inconciliabili differenze, per gli ideali che un tempo si pensavano acquisiti, e oggi chissà.



Ma chi c’è, quindi, in piazza, sotto le diverse e uguali sfumature di blu che gli organizzatori coccolano come pantone democratico a rischio estinzione, a fronte dell’orizzonte populista e sovranista che pare così vicino? Abbiamo raccolto alcuni manifestanti-tipo in una piccola, arbitraria mappa.


L’ex girotondino (girotondina). Ampiamente rappresentato in una piazza per la maggioranza over 55-60, in pensione o quasi, questo tipo di manifestante è riconoscibile non soltanto dall’abbigliamento – molti maglioni a righe spuntano sotto i cappotti colorati delle signore, molte scarpe tipo Clarks ai piedi dei signori – ma anche dalla compostezza rassegnata e nostalgica delle risposte alla domanda “perché siete qui?”: “C’eravamo anche allora, bello poter tornare a contarsi”, ci si sente dire; “ci sentiamo meno soli, in questo panorama”; “speriamo sia l’inizio di una nuova stagione di piazza, come con i Girotondi”. Eccola, la parola magica che incanta la media borghesia post riflessiva convenuta in piazza del Popolo: signore e signori, tutte e tutti, direbbe Schlein, venuti a difendere l’Europa con la sensazione di sentirsi a casa. Li ha chiamati infatti Michele Serra, li ha chiamati Repubblica, il giornale che anni fa combatteva contro il Cav. Sul palco non c’è Nanni Moretti a dire “con questi dirigenti non vinceremo mai”, ma c’è Corrado Augias e ci sono i protagonisti di allora (idealmente, in collegamento, per messaggio o in presenza, dall’ex direttore di Rep. Ezio Mauro a Concita De Gregorio a Luciana Littizzetto a Gustavo Zagrebelsky). Ed è come un reel sospeso tra “Che tempo che fa” e un filmato sceso in piazza con la macchina del tempo dai primi anni Duemila. I figli dei manifestanti ex girotondini, 30-40enni, non ci sono. Non sono presenti in massa con i genitori, grandi assenti della giornata blu assieme ai ventenni. L’ex girotondino sospira: “Troppo presi dalla vita quotidiana, per una giornata di ideali”. Quali? Europa, Europa, Europa. E’ la parola magica che dovrebbe cancellare anche le grane della sinistra. Il problema è che l’ex girotondino la votava già, la sinistra, intesa anche come questo Pd, e la rivoterebbe, contento o meno contento, chiunque ci fosse a dirigerla. Zoccolo duro neanche più radical-chic, ché i radical-chic, intesi come alta borghesia intellettuale delle grandi città, della stessa età pensionabile o quasi pensionabile, sono in parte migrati verso le opzioni più rosse (Avs), verso le opzioni più centriste (Renzi, Calenda, Più Europa), soprattutto verso l’astensione delusa e dolente. Loro no, i post girotondini, restano. Il problema è allargare il perimetro della piazza verso l’urna. Siamo sicuri che i cinquantamila di oggi attireranno altri voti per Elly? “Domani è un altro giorno”, dice, uscendo, con l’ottimismo della volontà, il signor Mario, 71 anni, ex docente, venuto da Bologna.


Il giovane europeista (riserva indiana della giornata). Li cerchi con il lumicino sotto al palco, dove la prima linea è composta invece dalla categoria di cui sopra, l’ex girotondino, o da quella successiva, l’attivista dalle mille battaglie. Li cerchi ai lati o in mezzo, dove il serpentone della bandiera arcobaleno delle Acli si gonfia sotto il vento dispettoso di quasi-primavera, e infine li trovi, uno qui, uno lì, uno là, uno o due con gli europeisti pro Ucraina di Calenda e Magi. Sono i giovani diciotto-ventenni che dell’Europa dell’Erasmus hanno sentito parlare dai fratelli maggiori o dai genitori, ragazzi che in questa piazza non sono scesi con le orde di amici del liceo o dell’università, quelli che in autunno, quest’anno e quello precedente, hanno sfilato per la pace in medio oriente anche, e anche se spesso non volendo, accanto ai pro Pal. I pochissimi ragazzi di piazza del Popolo, riserva indiana in mezzo a una generazione che sinceramente crede nell’Europa ma che oggi non è venuta. Perché? Mistero: dove sono, i giovani sinceramente europeisti? Qualcuno, tra i boomer ex girotondini, dice che non ci sono perché “si informano su TikTok e non sui giornali”, e poiché la piazza è stata chiamata da Michele Serra su un quotidiano, non hanno “realizzato”. Chiediamo a uno della riserva indiana, direttamente. Si chiama Marco, ha 19 anni, viene da Milano, studia Giurisprudenza, si muove avvolto da una bandiera blu a stelle gialle come poi farà, sotto il palco, l’ex ministro e deputata di Italia Viva Maria Elena Boschi, in piazza per gli Stati Uniti d’Europa: Marco, perché secondo te ci sono così pochi ragazzi della tua età? “Non lo so, me ne aspettavo di più, non ci si rende conto, credo”. Di che cosa? “L’Europa sembra una cosa lontana, non a rischio”. E invece. Invece c’è il fantoccio di cartapesta che rappresenta Donald Trump a poca distanza dalle transenne, a ricordare che forse qualcosa bisogna fare, dice Giulia, 21 anni, romana, studentessa di Economia, rarissimo esempio di ragazza presente in piazza del Popolo con i genitori. Dove sono gli altri ragazzi? “Non ho idea, forse dovremmo parlare di più con i nostri amici, sensibilizzarli”. E l’Ucraina? “Va difesa, anche se parlare di armi per me è un po’ un tabù”, dice Giulia, coprendosi il capo con il cappuccio di felpa che la rende indistinguibile dagli altri, quelli che in piazza andavano in massa ai “Friday for the future” di Greta Thunberg e che l’anno scorso hanno riempito il Circo Massimo contro il femminicidio (e anche lì, poche, ma persistenti, erano spuntate senza nesso delle bandiere pro Pal, fischiate o applaudite a seconda del punto del corteo).


Il militante di molte battaglie lontane, fan di Maurizio Landini. Ha 65-70 anni, come l’ex girotondino, ma, a differenza dell’ex girotondino, che a volte ha cambiato partito pur nell’ambito del centrosinistra, ha sempre votato per l’ex Pci-Pds-Ds oggi Pd, ma sempre dal lato più duro e puro, per così dire pro Cgil senza se e senza ma. “Un tempo venivamo con i pullman del sindacato”, dice Antonia, 68 anni, ex impiegata arrivata da Ancona, un figlio che vive in Francia (“si è sposato lì”), un marito pensionato “rimasto a casa, ma solo per motivi di salute”. Giaccone da combattimento, capelli orgogliosamente rossi “come quando ero giovane”, Antonia quando vede da lontano Maurizio Landini che si avvia verso il backstage grida “forza segretario”. Ma lei è d’accordo con i toni di Landini? “Non proprio ma non importa, bisogna sostenere chi lotta per il lavoro, voi non vi ricordate le piazze di Cofferati, il sindacato un tempo ispirava passione politica”. “Cofferati, al Circo Massimo, nel marzo del 2002, eravamo tre milioni”, dice Antonia. Addiritura. Erano i tempi in cui si pensava, assieme alla popolazione che poi sarebbe diventata dei post-it gialli, che tramite il rovesciamento del Cav. la sinistra sarebbe risorta dalle ceneri. E vai a immaginare che poi sarebbe arrivato, dopo l’ubriacatura pro Antonio Di Pietro, lo tsunami di Beppe Grillo. Invece ora il fascino appannato di Mimì metallurgico è rappresentato da colui che viene considerato il tribuno da talk-show, il populista rosso Landini – che comunque i metalmeccanici li conosce bene sul campo. “Un faro nella notte”, dice Carlo, pensionato del gruppo di Antonia. Sta per arrivare sul palco Michele Serra, l’evento inizia, si aprono gli ombrelli, i militanti di mille battaglie quasi quasi si commuovono. “Se non ti occupi della politica, la politica si occuperà di te”, dice uno dei cartelli, più indietro, in piazza. E voi, vi occuperete di un ipotetico congresso anticipato del Pd? “Oggi siamo qui per l’Europa, e per il lavoro”, dice Carlo ascoltando le note d’apertura, quasi infastidito. Silenzio. Poco distante in un crocchio, oltretutto, sta parlando proprio lui, Maurizio Landini.


La femminista. Presente qui e là, non in massa, di età variabile (una quarantenne, una sessantenne, due ventenni, secondo il piccolo campione qui raccolto) ma i cartelli non mentono: “Diritti delle donne, non dimentichiamo”; “Femminicidio, altre vittime innocenti”; “Parità di retribuzione”. E l’Europa? E le bandiere blu? La difesa, il riarmo? “E’ tutto collegato, sempre di diritti negati parliamo, no?”. Diritti di chi? Degli ucraini, degli europei minacciati da Putin e dai dazi di Trump? “C’è un’enorme questione femminile rimossa”, dice Sara, 42 anni, dirigente in una società partecipata. “Basta guardare quante donne con figli ancora non lavorano, e basta guardare invece la Francia. Ecco, l’Europa dovrebbe servire a uniformare il welfare in favore delle donne”. E il riarmo? “Per me non è una priorità, sinceramente”, dice Sara. A fine manifestazione, uscendo, incontriamo Maria Grazia, arrivata da Modena. Sessantatré anni, insegnante di Lettere, due figli, è quella con il cartello sul femminicidio: “Con le mie studentesse l’anno scorso siamo venute a Roma per Giulia Cecchettin, oggi ci sono solo io ma è importante ricordare”. E l’Europa? “Appunto, la battaglia deve essere comune”. Ma come la difendiamo, l’Europa dei diritti? “Intanto ricordiamo”.


L’altra riserva indiana, il manifestante pro riarmo. Lo guardano un po’ così, gli ex girotondini, quel lui (o quella lei) che si aggira avvolto nel blu nei pressi delle bandiere pro Ucraina di Calenda e Magi. Età media: 40-50 anni. Dice Luca, 45 anni, ufficio studi di una banca a Londra e due giorni in media a settimana in Italia: “Non è una parolaccia, eh, il riarmo. Venite a Londra, lo dicono pure gli ex brexit e tutti quelli di sinistra, anche italiani expat”. Tornando verso il palco, vicino alle transenne, con bandiera blu e piccolo cartello, si aggira Marcello con una piccola insegna bianca sollevata a favor di taccuino, anche se quasi non si legge: “ReArm, per l’Europa”. Marcello ha 72 anni, “ex avvocato amministrativo in pensione”, dice. E’ romano “da generazioni”, è venuto da solo. “Io sostengo Ursula von der Leyen, grande personalità, ce ne fossero, qui. Nessuno dice che ha proprio ragione. Diteglielo, a Meloni e Schlein”. Si cercano i giovani. Ancora. Dove sono? Uno dei giovani pro Europa di cui sopra si aggira vicino al palco e dice: “Un conto è dire difesa, un conto riarmo, ma se dovesse servire, ci si ricordi di Winston Churchill, lo abbiamo studiato in tutti gli esami di storia”. Assieme ad Alcide De Gasperi, Churchill è il più citato dai ReArm che a testa alta difendono la posizione su cui il Pd si è diviso. E Schlein? “Anche basta. I problemi, direi, sono altri”.



L’evento è finito, la musica accompagna le immagini dei messaggi arrivati dall’estero o da altre città: sindaci, attivisti, cantanti – non applauditi come Jovanotti che intona l’Inno alla gioia, a metà pomeriggio, o come l’attore Fabrizio Bentivoglio e il sindaco di Roma Gualtieri che rispolverano in favor di Europa le memorie classiche, l’uno con Pericle, l’altro con Enea. Il colpo d’occhio finale accompagna la folla che defluisce, uscendo dalla piazza e scendendo dal Pincio. Improvvisamente compaiono due tra i pochissimi giovani introvabili: ecco una famiglia con passeggino. Hanno trenta-trentacinque anni. Chiediamo: “Avete visto qualche ventenne?”. Risposta: “Vuoi la verità? Me ne aspettavo tanti, ma ho visto solo gente dell’età dei miei. Ma perché?”. Già, perché? Il punto di domanda resta sospeso, e si aggiunge al grande interrogativo blu evocato da Michele Serra sul palco. Unica certezza: qui non ci sono risposte, solo domande.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l’Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l’hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E’ nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.

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