Floreale e petrosa, città del bagliore e delle tenebre. Omaggio a Palermo

Il volume di Franco Maria Ricci dedicato al capoluogo siciliano, curato da Giorgio Villani con intelligenza e raffinatezza. Intelligenza nella scelta dei testi perchè ha selezionato con acribia e gusto testi di autori disparati, dando vita a un florilegio vibrante e succoso che è un inno alla città

Ogni città è una voragine della storia, fisica e immaginale, nella quale sono precipitati palazzi, strade, piazze, parchi e ville, volti e persone, monumenti e memorie incise nella pietra o nell’inconscio collettivo. Palermo non fa eccezione, anzi, Palermo è un serbatoio di fantasia”, come scriveva Piovene nel suo Viaggio in Italia (1957). L’abilissimo scrittore vicentino, con sensibilità da sociologo e antropologo, registrava un’Italia in grande trasformazione, spendendo molte pagine sulla Sicilia e su Palermo, che descriveva come città greve e bollente, ricca di potenza latente. Prima di lui già molti grandi scrittori avevano tributato la città con fascinosi racconti di viaggio, tramite guide e mémoire che hanno contribuito a rendere Palermo celebre nel mondo. Se è vero che tutto è stato già detto e scritto, è altrettanto vero che tutto è da dire e scrivere nuovamente, perciò abbiamo sempre bisogno di nuovi sguardi sulle città e sul mondo, soprattutto in questo tempo di algoritmici travel blogger o guidine prêt-à-porter.

E’ quindi davvero meritevole il volume monografico che Franco Maria Ricci Editore ha dedicato al capoluogo siciliano, curato da Giorgio Villani con intelligenza e raffinatezza. Intelligenza nella scelta dei testi, perché, consapevole dell’impossibilità di raccontare da solo lo splendore e l’enormità di Palermo, ha selezionato con acribia e gusto testi di autori disparati, dando vita a un florilegio vibrante e succoso che è un inno alla città. Una città arborea e floreale, la “Ziz” fenicia (il fiore), ma anche e soprattutto una città petrosa, con il Monte Pellegrino a fare da fondale scenico, immane cetaceo calcareo arenato nella piana. “Come una roccia è tutta scavata da grotte, Palermo è scavata, di là dalle facciate spesso neutre, di saloni festosi” (ancora l’acuto Piovene).

E l’aspetto minerale e roccioso della città emerge anche dal libro, dai paliotti d’agate e smaltini veneziani, dai marmi mischi, dalle pietre della cattedrale e delle chiese coi mosaici rifulgenti (dettagli tutti godibili nelle sbalorditive fotografie di Massimo Listri, Luciano Romano e Manfredi Gioacchini), che imbevuti di sole si accendono d’oro. “L’oro richiama il vivace color zafferano della pietra calcarea che anima in paraste e lesene le candide facciate di molti edifici”, scrive Villani nel suo gustoso prologo, dopo il quale l’autore accompagna il lettore dentro la città con l’ausilio di voci del passato; così Tomasi di Lampedusa, Fulco di Verdura e Vittoria Alliata conducono nelle residenze cittadine e nelle ville bagheresi o sui Colli, dove si trova “un mondo passato, rivestito appena di una soffice crosta di favola” (Villani), mentre Thomas Carlyle, Goethe, Dumas e altri scrittori ci portano a scoprire le “corde pazze”, figure eminenti come il conte di Cagliostro e il Principe di Palagonia. Tra le pagine del libro, in filigrana, emerge un sottile senso della morte, che appartiene intrinsecamente a Palermo e non è che il rovescio della sensualità del paesaggio, del bagliore e del fasto.

E’ la Palermo dei cadaveri eccellenti nella cripta dei Cappuccini, carnaio umano dove il “carnevale della morte rende più grottesca la dorata ricchezza degli abiti sacerdotali” (Maupassant), e pure quella del grande affresco staccato a Palazzo Abatellis, dove la morte trionfa cavalcante, mietendo vittime in quel giardino lussureggiante. Anche nel giardino arcadico palermitano (“Gennat al-ard”, il paradiso in terra) arriva quindi la morte, o forse soprattutto qui, perché dove bellezza e incanto sono maggiori, più greve è la mortifera carezza, e l’abbraccio di due giovani sposi nella raccapricciante cripta cappuccina diviene sintesi perfetta dello scontro tra Eros e Thanatos (il dipinto “Amore e morte”, di Calcidonio Reina). Nella luce serotina, allora, il fiore palermitano si fa corolla di tenebre, come la vita per il poeta. Tutto questo e molto altro si apprende dal nuovo libro di Franco Maria Ricci; è ancora un buon libro lo strumento migliore per la conoscenza di una città, la lente più completa, raffinata, scandagliatrice e democratica.

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