I fantasmi di Elly. Tentata dal congresso, teme le insidie dello statuto Pd e la reggenza

Dopo il voto sul riarmo parla di “chiarimento politico” ma non precisa come e quando. I suoi la spingono al congresso anticipato, lei nicchia, perché non si fida dei vecchi del Pd. Tra i riformisti la carta è Pina Picierno

Elly Schlein si è melonizzata: vede spettri, come Meloni, fa minacciare “li porto al voto”, al congresso, come Meloni, con Mattarella non ci parla, come lei. È tentata dalla conta, dopo il Titanic Europa, il voto sul riarmo, e lo dichiara: “Serve un chiarimento politico. Tempi e modi li valuteremo”. Teme lo statuto del Pd, l’eventuale reggenza. Franceschini dice al Foglio: “Sento che gira la voce del congresso ma non so se lo voglia lei o i suoi”. Non comunica l’agenda. Si presenta al convegno della Cia, gli agricoltori, tra l’altro applaudita, ma non lo sa nessuno. E’ attesa a un altro evento, ma si presenta poco prima della fine. E’ in “riunione” da due giorni. Il Pd è ora il partito delle cuffie, delle Ellypods. Che fate? “Riunione”.



Debora Serracchiani, con le cuffie, Peppe Provenzano, il responsabile della politica estera, che deve preparare la mozione della prossima settimana, sull’Ucraina, anche lui, con le cuffie, ma la mattina a Omnibus, dice: “Non serve il congresso, e neppure un regolamento di conti. Serve un momento di confronto”. Igor Taruffi, il responsabile dell’organizzazione, alla Camera, parla fitto fitto con Michela De Biase, poi, pure lui, al telefono, resta al telefono per oltre mezz’ora, come se stesse cambiando il contratto del gas. Non ha le cuffie. Le avrà perse. Marco Furfaro, che è diventato padre, auguri, quello che doveva dire lo ha detto. E’ per il “prendiamoci il partito una volta per tutte. La base è con noi”. Si è assemblato un gruppo di svapatori scelti, il centro sociale magico, di Schlein, ed è composto da Furfaro, Marta Bonafoni, Igor Taruffi, Michele Fina e le stanno dicendo: “Portiamoli al congresso, lo vinciamo. Non dobbiamo avere paura. Questo è il tempo nostro”. E forse hanno anche ragione. In una delle loro riunioni, quelle sedute dove si è costretti ad ascoltare e prendersi i rimproveri, dove c’è sempre un’affinità con qualcuno, di speciale, è natura, e gli altri sono tenuti al tavolo tanto per far numero, si sono rinfacciati la debolezza. A Flavio Alivernini, il capo della comunicazione, che fa il suo mestiere, che deve rispondere ai cronisti, e cercarsi le informazioni da Schlein, che non sempre gliele dà, e lo dicono nel partito, hanno rimproverato, come se potesse anche guardare i social, il post storto che strizzava l’occhio a Salvini. C’è Furfaro che ha la legittima ambizione di fare il vicesegretario, Bonafoni vuole farlo al posto di Furfaro. E sarebbe politica che, ricorda Stefano Graziano, mentre va a incontrare Marco Damilano, è “la più violenta tra gli sport non violenti”. La parte più riflessiva, Arturo Scotto, ricorda “che andare a congresso sarebbe fare una renzata, e noi non siamo Renzi”. Gira e viene pescato dal cestino della sinistra qualsiasi forma di artificio per trovare il modo, per quello che la segretaria chiama “il chiarimento politico”. Il congresso viene declinato, in conferenza programmatica, e resta sempre la proposta di D’Attorre, il referendum tra gli iscritti. Altri, ancora propongono una bella settimana di temi, manca solo chi proponga una gita a Ventotene. A Piazza di Pietra, per l’evento “donne al lavoro”, nella piazza dove i cronisti attendono la segreteria per oltre un’ora mezza, c’è un cantante di strada che canta Let it be, che è il lascia correre, lascia fare, ma si può? Se Schlien prende tempo è solo perché teme, proprio come Meloni, il Quirinale del Pd. Se si dovesse andare a congresso, con lo statuto del Pd, non si esclude il segretario tecnico, il reggente, come è accaduto con Martina ed Epifani. La reggenza passa, in automatico, al presidente che è Bonaccini, proprio ora che Bonaccini non è più il peso molle del Pd. Non si può minimizzare, lo dicono tutti, lo dice Provenzano, lo pensa Franceschini, lo pensa Guerini, ma congresso, nel Pd, equivale a primarie. I riformisti chi hanno? Al momento, la più spendibile, anche solo per la sua tempra, per le belle pedate che scalcia contro la propaganda russa, è Pina Picierno, ma per i rifomisti non basta. Si torna nuovamente a Decaro, ma anche lui, come Zaia, con Salvini, piuttosto che farlo si fa indicare progovernatore di Bari vecchia. Zingaretti è così disarmato che oggi depone le armi a Roma e fa un evento congiunto con Gualtieri. Una soluzione, studiata, è mettere fine alla segreteria unitaria, procedere nelle direzioni a colpi di maggioranza. Quando Gentiloni e Franceschini si sono visti in officina si sarebbe parlato anche di questo. I riformisti ne beneficerebbero, ma se si mette fine alla segreteria unitaria anche Franceschini esce dalla gestione, se anche Franceschini esce dalla gestione, Schlein, a quel punto, finirebbe logorata dalle correnti. Forse è la volta che Schlein diventa grande, imprendibile. La sola cosa che non le verrà perdonato è non scegliere, proprio come rinfaccia a Meloni, la donna che ha preso a modello. O lasciare correre o sceglie di correre il rischio.

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  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio

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