Trump come un Re Mida al contrario

Distrugge ciò che tocca, trasforma in oro ciò che combatte, rivitalizza gli avversari, mette in difficoltà gli alleati. Dal bitcoin al Nasdaq fino a Starmer e Tesla. Le inaspettate conseguenze del trumpismo, Kyiv a parte

La leggenda di Re Mida, probabilmente, la conoscete tutti, e la particolarità di uno dei figli di Zeus, nella mitologia antica, era legata al suo tocco proverbiale: tutto quello a cui si avvicinava, magicamente, diventava oro. Nella fase storica in cui ci troviamo oggi, che a suo modo presenta dei tratti di mitologia, oltre che di mitomania, trovare un Re Mida non è semplice ma trovare il suo esatto opposto non è così difficile. E se sulla scena internazionale dovesse essere individuato un Re Mida al contrario, per così dire, la scelta non potrebbe che ricadere sul profilo di Donald Trump.

Re Mida, così dice la leggenda, trasformava in oro tutto quello che toccava. Re Trump, così dice la cronaca, trasforma in pattumiera tutto quello abbraccia, facendo diventare oro tutto quello che respinge, che sfida, che combatte. La storia più nota, riguarda naturalmente la Borsa. Trump, autodescrivendosi come un Re Mida, aveva promesso, agli elettori, che con il suo attivismo l’economia americana avrebbe istantaneamente vissuto una nuova età dell’oro. Da quando Trump è arrivato nuovamente al potere, però, ad aver vissuto un passaggio d’oro non è stata l’economia americana ma è stata quella europea, malamente minacciata da Trump a colpi di dazi (per ora solo annunciati). Da quando Trump è alla Casa Bianca, da gennaio, le borse europee hanno guadagnato il 15 per cento, mentre la Borsa americana, il Nasdaq, ha perso il 15 per cento. Un disastro.

E una sorte ancora più meschina, finora, l’ha avuta anche l’azienda più famosa del suo braccio destro, la Tesla di Elon Musk, che dal 20 gennaio scorso ha segnato una diminuzione di circa il 43,4 per cento (Trump, consapevole del disastro, due giorni fa ha invitato tutti a comprare Tesla).

Lo stesso, restando sul terreno dell’economia, si potrebbe dire sui Bitcoin. Trump, anche sul bitcoin, aveva promesso una nuova età dell’oro. Aveva lanciato un suo bitcoin. Aveva promosso un bitcoin con il nome della moglie, Melania. Risultato. A gennaio 2025, il bitcoin raggiunge un nuovo massimo storico, superando per la prima volta la soglia dei centomila dollari, con un picco di 109.356 dollari registrato il 20 gennaio, in concomitanza con l’insediamento. Dopo questo picco, il mercato ha subìto una correzione notevole. Nel mese di febbraio, il prezzo del bitcoin è sceso del 17,66 per cento, toccando un minimo di 78.197 dollari. Il 9 marzo 2025, il bitcoin ha subìto una flessione del 5,47 per cento, attestandosi a 81.554,67 dollari. Un disastro.

L’essere un Re Mida al contrario, però, per Trump, non riguarda solo il terreno dell’economia ma, se possibile, riguarda ancora di più il terreno della politica. Da quando Trump è alla Casa Bianca, i suoi avversari politici hanno trovato una nuova giovinezza e i suoi bersagli tattici hanno trovato nuova linfa per guardare avanti. L’Europa che Trump voleva indebolire, e dividere, si è improvvisamente unita e sui temi della difesa ha accorciato le distanze anche con chi oggi si trova fuori dall’Unione europea, come il Regno Unito e come la Norvegia.

In Germania, con un’agenda anti trumpiana e anti muskiana, ha vinto le elezioni il cancelliere in pectore della Cdu, Friedrich Merz. In Francia, ponendosi come un argine anche mediatico al trumpismo, ha trovato un nuovo margine d’azione il presidente francese Emmanuel Macron, in grande difficoltà prima dell’arrivo di Trump e al centro della scena in Francia ora dopo la vittoria di Trump. In Gran Bretagna, prima dell’arrivo di Trump, anche il primo ministro, Keir Starmer, ha attraversato mesi difficili, quasi drammatici, ma dal momento in cui Starmer ha messo in campo un’agenda fieramente anti trumpiana, sull’Ucraina, il suo consenso è migliorato, gli avversari si sono congratulati con lui e lo stesso Economist, non tenero in questi mesi con Starmer, lo ha incoronato, come il Churchill d’Europa.

Gli stessi paesi che Trump ha minacciato attraverso l’arma dei dazi (il Messico) o attraverso l’arma della possibile annessione (il Canada e la Groenlandia) hanno performato in modo diverso da come si sarebbe aspettato Trump. Da quando il Messico è stato minacciato, la presidente del Messico, Claudia Sheinbaum, ha aumentato il suo consenso personale, portandolo a livelli record, circa all’85 per cento, e domenica scorsa decine di migliaia di persone si sono riversate nella piazza principale di Città del Messico per festeggiare con la presidente la decisione degli Stati Uniti di rinviare i dazi su molte merci del paese. In Canada, invece, i liberali di Trudeau, oggi guidati da Mark Carney, dopo l’aggressione di Trump hanno recuperato dieci punti nei sondaggi, e anche il leader del partito più vicino alle istanze di Trump, il partito conservatore, ha dovuto schierarsi contro Trump, per non perdere consenso in patria. Persino in Groenlandia Trump ha avuto un effetto di Re Mida al contrario e la sua battaglia per l’annessione ha prodotto una situazione di questo tipo: cinque dei sei principali partiti politici dell’isola sostengono l’indipendenza dalla Danimarca e l’85 per cento dei groenlandesi si oppone all’annessione agli Stati Uniti.

Un effetto del genere, in fondo, un effetto Re Mida al contrario, lo ha generato anche tra i suoi follower.

L’endorsement di Musk a AfD non ha prodotto risultati, l’arrivo di Trump alla Casa Bianca ha portato i partiti europeisti in Austria a organizzarsi per fare un governo anti estremista, il presidente argentino Javier Milei è stato costretto ad abdicare alla sua difesa dell’Ucraina votando all’Onu contro la risoluzione con cui le Nazioni Unite hanno ricordato che sono stati i russi ad aggredire l’Ucraina e la stessa Giorgia Meloni si è ritrovata a camminare sui tizzoni ardenti tra un attacco all’operato di un ministro del suo governo (Piantedosi, via Stroppa), una polemica sui satelliti di Starlink (che ha mandato in cortocircuito FdI), un Salvini scatenato contro un inevitabile alleato di Meloni (Macron), un governo diviso sulla difesa dell’Europa e sul suo riarmo (Salvini è contro, trumpianamente e putinianamente parlando, Meloni no), una minaccia dei dazi che ha scaldato e preoccupato il ceto produttivo italiano (Salvini dice però che la minaccia non riguarda l’Italia anche se Trump ha detto che riguarda tutti i paesi europei che hanno un avanzo commerciale importante con l’America: tra anti Re Mida ci si intende alla grande). Ci piacerebbe poter dire lo stesso dell’Ucraina, la cui difesa da quando Trump è arrivato alla Casa Bianca è diventata negoziabile sull’altare della strategia del riavvicinamento diplomatico con la Russia, ma in verità qui il tocco da Re Mida di Trump ha avuto due effetti. Da un lato, ha permesso all’Europa di ricompattarsi attorno a Zelensky, negli stessi istanti in cui Zelensky veniva maltrattato da Trump, ma dall’altro lato ha trasformato in oro l’offensiva putiniana, e da quando Trump è alla Casa Bianca, come ha testimoniato l’Institute for the Study of War, l’intensità degli attacchi russi con missili e droni sull’Ucraina è semplicemente raddoppiata. Ci piacerebbe pensare che anche questo è un effetto involontario del Re Mida americano. Ma l’idea che la sua azione diplomatica potesse trasformare in oro il putinismo forse non è esattamente uno degli effetti involontari generati da un Re Mida al contrario di nome Trump.

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  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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