La Camera approva il disegno di legge che elimina il test nazionale: il primo semestre sarà aperto a tutti, ma l’ammissione al secondo non sarà scontata. Resta irrisolta la carenza di personale medico. “Il problema non è l’accesso all’università, ma com’è inquadrata la figura degli specializzandi”, dice Liuzzi (Anaao)
Sembra finita un’epoca. Con l’approvazione del disegno di legge in via definitiva alla Camera – già passato al Senato a novembre – l’accesso alle facoltà di Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Veterinaria non sarà più regolato da un test nazionale. La ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini ha annunciato la riforma con toni trionfalistici, invocando una “rivoluzione copernicana” e “un salto quantico irrimandabile”. Dunque, chiunque desideri iscriversi alla facoltà di medicina, frequentare i corsi e sostenere gli esami, laurearsi, accedere alla scuola di specializzazione, potrà farlo senza l’ostacolo del quiz all’ingresso e senza le difficoltà di una competizione spietata? Evidentemente no. Le università italiane, men che meno gli ospedali in cui gli studenti devono formarsi, non sono in grado di ospitare i numeri prospettati dalle iscrizioni annuali ai test di medicina. Nel 2024 sono stati circa 70mila gli iscritti al test nazionale. Non è, al momento, possibile “aprire le porte” alla facoltà di medicina, né lo sarà nel futuro prossimo. “Viviamo su Marte se pensiamo che questo sia possibile. Dovremmo formare migliaia di studenti attraverso la didattica a distanza, ma questo sottrarrebbe ogni valenza al titolo di studio conseguito” dice al Foglio Giammaria Liuzzi, responsabile nazionale di Anaao giovani.
L’abolizione del numero chiuso, infatti, non è affatto contemplata dalla legge. Le porte saranno aperte a tutti – dichiara Bernini – ma soltanto per il primo semestre del primo anno – sussurra. L’ammissione al secondo semestre dipenderà dai risultati conseguiti in esami specifici e dalla posizione in una graduatoria basata sui crediti ottenuti. La graduatoria continuerà a essere unica e nazionale, ma non sarà più fondata su una prova identica per tutti, bensì su esami che – pur relativi alle stesse discipline – inevitabilmente risentiranno di ampi margini di discrezionalità circa le modalità di verifica e di valutazione di singoli atenei e docenti. “Sebbene possa apparire come una riforma popolare, ci vorrà poco perché studenti e famiglie si rendano conto che si tratta di una mera illusione. Almeno 40/50mila giovani si iscriveranno al primo semestre, pagando le tasse, per poi essere esclusi”, dice Liuzzi.
Soprattutto, l’annullamento del test nazionale non risolve in alcun modo il problema della carenza di personale medico. La ministra dell’Università e della Ricerca ha fatto riferimento a un aumento di medici pari a circa 30mila unità, come effetto della riforma. Occorre chiarire, però, che il nostro servizio sanitario nazionale non soffre di una carenza generica di medici, bensì di specialisti in determinate branche, in primis quelle ospedaliere (la medicina d’emergenza-urgenza su tutte). Questo aspetto appare chiaro se si guardano i risultati delle assegnazioni del concorso di specializzazione 2024: su 15.256 contratti statali e regionali a bando, solo 11.392 (75 per cento) sono stati assegnati, numero destinato, tra l’altro, a diminuire ulteriormente a causa delle mancate effettive immatricolazioni. La tendenza si rivela particolarmente negativa per le specializzazioni meno ambite, prima tra tutti la medicina d’emergenza-urgenza (per la quale è stato assegnato il 30 per cento dei contratti disponibili). “L’aumento di posti disponibili creerà, a lungo termine, il fenomeno che noi chiamiamo pletora medica. Tra 11 anni avremo 30 mila nuovi ingressi, cioè nuovi laureati, a fronte del pensionamento di soli 6 mila medici ospedalieri. Ringrazieranno i paesi esteri, che accoglieranno i laureati formati a spese dello stato italiano e costretti ad andare via”. Gli effetti della mancata programmazione saranno evidenti, mentre alcuni reparti continueranno a svuotarsi, sostiene il sindacato di medici e dirigenti sanitari italiani.
“Per rendere più attrattive alcune specializzazioni, tra tutte la medicina d’emergenza-urgenza, non servono tanto più soldi – sebbene sia certamente un problema il definanziamento cronico della sanità pubblica – quanto un adeguato inquadramento della figura dello specializzando”, suggerisce il responsabile nazionale di Anaao giovani. Lo specializzando, in Italia, è uno studente, vincitore di borsa di studio ministeriale (D. Lgs. 386/1999), sebbene sia a tutti gli effetti un lavoratore che si forma. “Invito a guardare il modello francese più su questo, che sull’ingresso alla facoltà di medicina. In Francia la specializzazione è una vera e propria formazione-lavoro”.
Il numero chiuso, che sarebbe più corretto definire “programmato”, perché stabilito sulla base del fabbisogno degli specialisti, è imprescindibile. “Detto questo, noi non siamo difensori del test nazionale così com’è, che è criticabile sotto diversi aspetti, in primis per le materie del quiz”. Per questo questo Anaao appoggia la proposta della Conferenza dei rettori delle Università italiane: mantenere un test nazionale e strutturarlo su materie mediche in pari misura (biologia, chimica, matematica e fisica, logica e argomenti psico-attitudinali); il test, secondo questa proposta, dovrebbe essere preceduto da corsi online gratuiti e accessibili a tutti, tenuti dalle università da gennaio a settembre, sulle materie del quiz. Il test nazionale è assolutamente migliorabile, ma resta fondamentale per garantire un criterio di oggettività nella selezione, che con la riforma verrebbe meno.