E’ stato fermato all’aeroporto di Manila a seguito di un mandato di cattura emesso dalla Corte penale internazionale per le violazioni dei diritti umani commesse nella lotta al traffico di droga. Dietro l’arresto la faida con l’attuale presidente Fernando Marcos Junior, che coinvolge anche la figlia di Duterte, Sara, attuale vicepresidente del paese
Rodrigo Duterte, già presidente delle Filippine dal 30 giugno 2016 al 30 giugno 2022, è stato arrestato all’aeroporto di Manila a seguito di un mandato emesso dalla Corte penale internazionale. E’ stato poi portato all’Aia. L’accusa è di crimini contro l’umanità per aver lottato contro il narcotraffico e la delinquenza con la promozione di squadroni della morte che avrebbero fatto migliaia di vittime. Duterte, che rischia fino all’ergastolo, è stato detenuto dalla polizia di un governo in cui è presidente Fernando Marcos Junior, figlio dell’omonimo dittatore il cui rovesciamento da parte della rivoluzione popolare guidata da Corazon Aquino nel 1986 può ora essere considerato un anticipo di quegli altri moti che nel 1989 riportarono la democrazia in gran parte del mondo, dall’Europa dell’Est all’Africa. In più, vicepresidente è Sara Duterte, sua figlia, anche se da oltre un anno i rapporti tra lei e il presidente sono peggiorati: al punto che il 5 febbraio la Camera dei Rappresentanti ha votato contro di lei l’inizio di una procedura di impeachment per accuse in cui c’è perfino quella di volere assassinare Marcos.
In un mondo dove una quantità di governi con credenziali democratiche hanno remore a eseguire i mandati di arresto della Cpi, quel che è accaduto con al potere il figlio di un famigerato dittatore potrebbe apparire sorprendente, se non fosse appunto per quella faida tra i clan Marcos e Duterte ormai sempre più scoperta. “Questa mattina presto, l’Interpol Manila ha ricevuto la copia ufficiale del mandato di arresto della Cpi”, si legge in una dichiarazione presidenziale. “Attualmente, [Rodrigo Duterte] è sotto la custodia delle autorità”.
Duterte era atterrato a Manila con un volo Cathay Pacific proveniente da Hong Kong, dove lo scorso fine settimana aveva partecipato a un comizio elettorale in vista delle elezioni del 12 maggio. Non ha opposto resistenza, anche se è stato sentito dire: “dovranno semplicemente uccidermi”. Ore prima, Duterte aveva dichiarato di essere disposto ad “arrendersi” alla Cpi per presunte violazioni dei diritti umani commesse sotto la sua amministrazione nel contesto delle controverse politiche attuate per combattere l’uso e il traffico di droga. “Se questo è veramente il mio destino in questa vita, bene, lo accetterò. Possono arrestarmi e imprigionarmi”, ha detto. “Qual è il mio peccato? Ho fatto tutto ciò che era in mio potere per promuovere la pace, affinché i filippini possano vivere in pace”. Durante il suo mandato Duterte ha condotto una guerra alla droga durante la quale circa 6.000 persone sono morte in operazioni antidroga ed esecuzioni extragiudiziali, secondo i dati della polizia. Ma ong locali arrivano a denunciare addirittua più di 30.000 vittime. La Cpi avviò la sua indagine sugli omicidi legati alla guerra alla droga il 1° novembre 2011, quando Duterte era ancora sindaco di Davao, e l’ha estesa fino al 16 marzo 2019. Nel 2019, Duterte ha ritirato le Filippine dallo Statuto di Roma, il trattato fondativo della Cpi, apposta nel tentativo di eludere la giurisdizione della corte, secondo i gruppi per i diritti umani. Nel 2021, l’amministrazione Duterte ha pure tentato di sospendere le indagini, sostenendo che la magistratura filippina stava già indagando sui casi.
Tuttavia, nel 2023, i giudici d’appello della Cpi hanno autorizzato la ripresa del processo. In teoria, Marcos ha detto che il suo governo non collaborerà alle indagini della Cpi di sua iniziativa. Ma il sottosegretario dell’Ufficio delle comunicazioni presidenziali Claire Castro ha aggiunto che se sara invece l’Interpol a richiedere la cooperazione del governo questo sarà obbligato a ottemperare, ed è quello che è successo. Duterte continua a essere una figura politica influente nelle Filippine, e si era candidato a sindaco di Davao alle elezioni comunali di maggio. Ma è anche molto odiato, e il suo arresto ha suscitato anche molti consensi. Il deputato Perci Cendaña ha invitato Duterte ad “assumersi la responsabilità delle migliaia di morti causate dalla sanguinosa e moralmente corrotta guerra alla droga”. La lista della ex senatrice Leila de Lima ha affermato che l’arresto di Duterte “rappresenta un passo atteso da tempo verso la giustizia”, dopo che le vittime della guerra alla droga e le loro famiglie hanno atteso “per anni” che fosse chiamato a rispondere delle proprie azioni. Adesso potrebbe essere estradato all’Aja per esservi processato.
Duterte è un personaggio difficile da etichettare ideologicamente. All’;inizio del suo percorso politico suo ispiratore fu José Maria Sison, fondatore del Partito Comunista delle Filippine. Poi ha dichiarato di essere socialista e non comunista, e dopo eletto si è dichiarato “presidente di sinistra”, mentre trattava con la guerriglia comunista. L’accordo non è stato raggiunto, e ha allora cominciato a fare esternazioni di estrema destra. Come ricordato, però, già da sindaco di Davao il suo principale programma era l’uso di mezzi estremi per la lotta non solo alla delinquenza, ma anche alla marginalità in genere. Ancora in quella carica locale avrebbe causato almeno un migliaio di vittime, tra cui anche ragazzi di strada. Alle critiche ha risposto con un discorso populista e aggressivo contro le élite, la Chiesa cattolica e le potenze occidentali.