La Juventus perde malamente per 0-4 contro l’Atalanta allo Stadium, la sconfitta interna più umiliante degli ultimi 55 anni
Ecco, la musica è finita. Gli amici se ne vanno, lo Stadium rimane vuoto come pochissime volte nella sua storia, Covid escluso. Che inutile serata per l’ambiente Juventus, se non servirà a chiarire le idee riguardo la sopravvalutazione della rosa e l’indifendibilità del suo tecnico: la sconfitta interna più umiliante degli ultimi 55 anni non è una nota stonata, ma l’intero spartito stracciato come l’orchestra di Sanremo davanti al podio di Pupo ed Emanuele Filiberto. Nonostante la performance di Michele Di Gregorio in formato Tacconi, quella della Juventus conferma di non essere una squadra di calcio: errori puerili, fondamentali sciagurati, falle abissali, moduli insensati rendono irriconoscibile l’idea di calcio di Thiago Motta, qualsiasi essa sia. “Allora rivolete Allegri!”, direbbe Corrado Guzzanti: ma ci sarà una giusta distanza tra lo sbaraglio velleitario e la frusta restaurazione, tra il più cieco amore e la più stupida pazienza… intanto il re è nudo e il campionato ancora lungo.
Questa è “La nota stonata”, la rubrica di Enrico Veronese sul fine settimana della Serie A, che racconta ciò che rompe e turba la narrazione del bello del nostro campionato che è sempre più distante da essere il più bello del mondo
Se Atene piange, la risata di Sparta è a denti stretti: solo in faticosa rimonta l’Inter ha ragione di un Monza virtualmente retrocesso, eppure dotato di cifra tecnica sommaria superiore alla sua classifica. I nerazzurri rimangono sì primi, ma con 14 punti in meno rispetto alla cavalcata della stagione scorsa, e l’impegno nei tre fronti potrebbe pesare; in specie se perdurasse l’avaria di esterni schierabili con profitto.
Anche il Milan va sotto di due gol, in un’ora di Leccezionale, e li recupera ritrovando il miglior Christian Mate Pulisic: non casualmente nella posizione di sinistra che aveva fatto le sue fortune al Chelsea e al Borussia Dortmund. Ma in rossonero quelle zolle sono appannaggio di Rafael Leão, e vi concorrono pure João Félix e Álex Jiménez, per tacere di Riccardo Sottil: troppa scelta e pari rischio di non operare quella giusta, che passa dal “sacrificio” del discontinuo numero 10 dove può avere mercato, e nell’investitura ufficiale del croato d’America.
Del resto, che una mirata campagna di acquisti e cessioni possa ancora cambiare le prospettive di una rosa lo sta dimostrando il Torino, il quale a gennaio ha inserito Eljif Elmas e Cesare Casadei nel proprio motore, ricavandone gol e assist in serie, maggior pericolosità offensiva e una convinzione che sarebbe servita mesi prima, dopo l’esiziale infortunio di Duván Zapata. I due paiono giocare in granata da sempre, si cercano e si trovano che è un piacere, e condizionano i rimpianti di qualche top club in grado di arrivarci.
Non ha questi problemi il Como, che a ogni pallone giocato pare possa creare pericoli: ma non aveva messo nel conto la dignità del Venezia in tutti i luoghi e in tutti i laghi, capace per una volta di andare oltre la propria sterilità. Chi, come i lagunari, non riesce ad accedere proficuamente nell’area di rigore altrui avrebbe buon gioco (“dritto per dritto”, dicono oggi) dal ripristino dell’antica arte del tiro da fuori, un tempo vanto italiano e oggi desaparecido.