La politica ed ex ministra francese ci dice che l’Unione europea è una fortuna, non va sprecata. Qualche consiglio per ritrovare efficacia e determinazione, ricostruendo l’appartenenza, la sicurezza, la difesa (e la gioia)
Nata a Marsiglia nel 1964 da una famiglia di origine italiana, Sylvie Goulard è stata vicegovernatrice della Banca di Francia dopo essere stata ministra delle Forze armate di Emmanuel Macron, e prima ancora consigliera del presidente della Commissione europea Romano Prodi ed europarlamentare. Dopo che nel 2012 era stato pubblicato in italiano il suo libro “La Democrazia in Europa: guardare lontano”, scritto assieme a Mario Monti, è ora uscito per il Mulino il saggio “Grande da morire. Come evitare l’esplosione dell’Europa”, con prefazione di Romano Prodi – un titolo che sembra ora tristemente profetico. “Il libro è stato in realtà scritto nell’estate del 2023, e pubblicato in Francia un anno fa – dice al Foglio Goulard – Avevo fatto un piccolo aggiornamento dopo il Consiglio europeo di dicembre. L’attualità è sempre più grave, ma certe cose si vedevano già”.
Per esempio, a pagina 125 si prevedeva che Vladimir Putin avrebbe potuto non volere l’Europa al tavolo della pace: “Lamentarsi ora quando per tanti anni non abbiamo fatto niente per organizzarci e avere un peso è una cosa che mi dà fastidio”, dice Goulard. Ma l’Europa si sta ora svegliando, con l’attivismo di molti leader europei, come Emmanuel Macron e Keir Starmer? Oppure è quella che Napoli definirebbero ammuina? “So che Macron ama molto Napoli, ma direi che la situazione è seria – dice Goulard – Sono contenta che il presidente francese abbia preso l’iniziativa, invitando non solo tutti i responsabili istituzionali europei ma anche il Regno Unito, che è importante in questa materia, e la Nato. C’è stato uno sforzo, e questo è positivo. Ma dovremmo fare molto di più”.
Il saggio sostiene due tesi fondamentali. Primo: bisogna modificare i meccanismi decisionali in modo da renderli più efficaci e più rapidi. Secondo: bisogna limitare l’eccessivo allargamento dell’Unione europea, per renderla più compatta. “Esatto, ma aggiungerei un ulteriore elemento – dice Goulard – Più efficacia deve andare con più democrazia, perché se le decisioni sono prese di soppiatto poi la gente si risente. Facciamo delle promesse: possiamo mantenerle o no? Già l’Unione con 27 modi di decidere che non sono sufficientemente veloci e democratici ci mette nei guai. Tutta la parte governance del rapporto di Mario Draghi non dice nient’altro. Dunque, già è un problema decidere a 27 per l’economia. Lo sarà ancora di più se saremo 36-37 e dovremmo decidere anche su diplomazia e difesa”.
Ma la proposta concreta quale sarebbe? “Toccherebbe ai nostri capi di governo che fanno tutte queste grandiose promesse geopolitiche spiegare come vuole andare avanti. Cosa che non fanno. La mia opinione modesta di cittadina è di dire che abbiamo la fortuna di avere l’Unione europea, con il metodo comunitario, creato dai nostri nonni che avevano conosciuto il sistema prima della Seconda guerra mondiale. Soprattutto Jean Monet, che era stato segretario generale della Società delle nazioni. Il Consiglio, la Commissione, la Corte di giustizia, una Banca centrale anche federale mi sembrano la risposta giusta, soprattutto se continuiamo a paragonarci con gli Stati Uniti. Nel 2012 avevamo già scritto un libro con Mario Monti in cui avevamo spiegato che non si possono avere allo stesso tempo tutti i vantaggi dell’essere uniti e tutta la sovranità di essere da soli. E’ un’illusione totale. I cosiddetti sovranisti patrioti ci vorrebbero portare a quella Società delle nazioni che ci fu dopo la Prima guerra mondiale, e che portò alla Seconda”.
Come minimo, ci vuole il superamento dell’unanimità. “Esattamente – prosegue Goulard – Ma anche se togliamo l’unanimità dobbiamo poi chiederci quali sono le politiche che vogliamo fare, e come le finanziamo. Dobbiamo smettere di credere che possiamo avere la geopolitica, il mercato, la potenza, la tecnologia senza cambiare il sistema internazionale. Abbiamo saputo farlo per il mercato, abbiamo saputo farlo per l’euro, dunque possiamo andare avanti. Step by step, ma con determinazione”. Il prossimo passo dovrebbe essere dunque la difesa: “Sicuramente. Soprattutto se si conferma che gli americani ci lasciano. L’ipotesi la aveva già evocata Barack Obama, ma non abbiamo voluto ascoltare. Ma neanche la difesa basta senza una voce diplomatica unica. Non è possibile che uno va per conto suo a Mar-a-lago e un altro a Mosca e poi a Bruxelles. Nella difesa c’è sempre una dimensione di politica estera”.
Il saggio di Goulard a un certo punto chiede: “Come può svilupparsi un senso di appartenenza, un patriottismo europeo, se il resto dell’Ue è ancora percepito e trattato dall’apparato statale come ‘estero’? Manteniamo ancora, nei nostri rispettivi paesi, delle ambasciate ai sensi della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche. A forza di non fare distinzione tra l’interno (Parigi o Berlino, per esempio) e l’esterno (Yaoundé o Tegucigalpa), non c’è da stupirsi che gli europei facciano fatica a sentirsi… europei”.
“Sì, sono francamente triste quando vedo questi viaggi a Pechino o a Washington in cui ognuno vende un pezzettino del mercato unico – dice Goulard – Ci consideriamo in una squadra, ma ognuno fa le sue cose all’estero per conto proprio. E come si fa allora a fare capire al cittadino che c’è l’interno e l’esterno? Secondo me dobbiamo anche tornare a delle cose un po’ semplici. Certamente la Francia avrà sempre bisogno di avere delle persone che parlino con l’Italia e viceversa, ma forse possiamo chiamarlo in altro modo che ambasciata. Poi quando siamo all’estero dobbiamo avere ambasciatori comuni, se andiamo separatamente da Trump è sicuro che lui cercherà di dividerci. Facciamo squadra, mettiamo insieme tutte le nostre forze, facciamo un’ambasciata comune con persone di tutti i paesi o di una maggioranza, magari con una rotazione dell’ambasciatore. Non lo so, ci possiamo inventare delle cose, a senza continuare a dare a chi è contro di noi la possibilità di dividerci”.
Lo ha paragonato a una specie di “congresso di Vienna intermittente”. “A Bruxelles ci sono queste persone che si incontrano senza trasparenza, nel buio, non si sa cosa succede dentro, e poi alla fine ognuno va in una sala stampa a dire ai suoi giornalisti che cosa è successo – dice Goulard – A Francoforte abbiamo trovato una soluzione. Draghi, prima di lui Jean-Claude Trichet, dopo di lui la Christine Lagarde, c’è una persona sola che va di fronte alla stampa. Siamo morti? No. Perché? Perché abbiamo una moneta unica e dunque abbiamo una persona che parla per tutti. Ci vuole rotazione tra i paesi per avere le cariche, su questo non c’è dubbio, ma dov’è il problema ad avere Lagarde che parla da sola e prima di lei Draghi? E’ questo che ha dato al whatever it takes il suo peso”.
Goulard ha osservato che i popoli più europeisti sembrano essere quelli che stanno fuori dalla Unione europea: ucraini, georgiani, moldavi… “Sappiamo che, da lontano, l’Ue può essere idealizzata, ho scritto – puntualizza Goulard – Come in amore, il desiderio conduce verso ciò che non si possiede; una volta in coppia, la convivenza è a volte meno entusiasmante del previsto. La cosa è ammirevole, perché per esempio in Georgia o in Moldavia può esserci un rischio fisico a prendere la bandiera europea in mano. Però abbiamo anche l’esperienza. Io mi ricordo benissimo Václav Havel, Bronisław Geremek e tutti quelli che nel periodo in cui lavoravo con Prodi venivano da noi, ed erano persone fantastiche. Ma poi è venuto il nazionalismo boomerang dei Kaczynski e Orbán. Nessuno aveva imposto a questi paesi di essere candidati. Dobbiamo anche pensare al tempo lungo, come avrebbe detto Braudel, nel quale ci saranno forse delusioni e cambiamenti”. Ma l’Ucraina potrà entrare? “Credo che potrà entrare in un’Unione riformata, Così non ci sarà delusione né in Ucraina né da noi”.
A proposito di storici, nel libro è citato anche Marc Bloch: “Di fronte a nuove minacce le argomentazioni di ieri non sono più valide”. “In Francia questo testo è molto conosciuto — dice Goulard – probabilmente in Italia molto meno. Io temo che possiamo fare gli stessi errori degli anni Trenta, quando non si vollero vedere i pericoli e non si seppe fermare Hitler intanto che era ancora debole”. E’ un momento, questo, in cui sembra andare in pezzi tutto l’ordine internazionale liberale nato dopo il 1945. Tra Putin che fa guerre di aggressione per fare annessioni, e Trump che torna addirittura al colonialismo ottocentesco. “Ed era un ordine nato da due catastrofi mondiali terribili e dalla Shoah, con milioni di morti. Forse non era un ordine del tutto giusto. Il sud del mondo si lamentava che era un ordine occidentale. Ma almeno c’era il tentativo di uscire dalla legge della giungla. Putin avrebbe potuto tentare di negoziare all’Osce o al Consiglio d’Europa. Spesso nella Unione europea ci si lamenta delle troppe regole, forse potrebbero essercene di più efficaci, ma dico da donna che sono le regole a tutelare i deboli. Se no, prevale il più forte”.
A proposito di storici: fu Tucidide a ipotizzare che all’origine della Guerra del Peloponneso possa esserci stato il fatto che i giovani si annoiavano della pace, non avendo conosciuto la guerra come i vecchi. Anche adesso ci può essere il problema di aver dimenticato il passato? “Sì, ne sono assolutamente convinta, io ho avuto la fortuna immensa di discutere di Europa con Karl Lammers, con Giorgio Napolitano, con Richard von Weizsäcker, che avevano vissuto certi eventi nella loro famiglia. Per esempio, Richard von Weizsäcker, che era stato soldato tedesco con suo fratello, e lo aveva sepolto il secondo giorno della guerra. Queste persone su certe cose avevano un atteggiamento viscerale, dovremmo rileggere quello che ci hanno detto. L’ultimo discorso di Mitterrand al Parlamento ripeteva che il nazionalismo è la guerra, e che cosa fanno le generazioni di oggi? Esaltano gli interessi nazionali, la bandiera: esattamente il contrario! Spero dunque che non ci comportiamo come i figli che sprecano l’eredità. Anche Trump, dal mio punto di vista, sta sprecando l’eredità americana. Nel dopoguerra, l’America ha giocato un ruolo essenziale nella democrazia della Germania, nello stabilire l’economia di mercato, la lotta contro i cartelli. L’America era grandissima per questa forza di influenza e di esportazione dei suoi valori, che per il resto sono venuti anche dall’Europa e dalla Grecia”.