Il tribunale triestino non ha accolto le richieste di una donna affetta da sclerosi multipla, ma si è limitato a richiedere formalmente all’azienda sanitaria se siano presenti i criteri individuati dalla sentenza della Corte costituzionale per considerare illegittimo l’articolo 580 del codice penale. Eppure continuare ad appellarsi alla giurisprudenza rende la situazione ancor più caotica
Non si capisce secondo quale logica vi sia qualcuno che continua a ritenere ogni passo verso la legittimazione del diritto a morire come una vittoria e una conquista di civiltà. Una donna triestina di 55 anni, della quale sappiamo solo che è affetta da sclerosi multipla, a maggio aveva fatto ricorso contro l’Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina (Asugi) chiedendo fosse da quest’ultima autorizzato l’iter per il suicidio assistito. E’ di ieri la notizia che il tribunale di Trieste non ha accolto le richieste della donna non “sussistendo i requisiti di attualità” ma si è limitato a richiedere formalmente all’azienda sanitaria se siano presenti i criteri individuati dalla sentenza della Corte costituzionale 242 del 2019 per considerare illegittimo l’articolo 580 del codice penale: presenza di mezzi di sostegno vitale, patologia irreversibile e fonte di sofferenze psichiche o psicologiche intollerabili, capacità di prendere decisioni lucide e consapevoli.
Se però guardiamo la vicenda nel suo insieme, ancora una volta non possiamo che restare sconcertati dal caos culturale e istituzionale nel quale sembra essere precipitato il nostro paese dopo la sentenza 242 prima citata. Questa è innanzitutto una sentenza, non è una legge dello stato e come tale non si può cercare di “normare” l’intricatissima materia del fine vita semplicemente basandosi su di essa. Per di più la Corte costituzionale, intervenendo sulla legittimità o meno dell’articolo 580 del codice penale in materia di istigazione o aiuto al suicidio, non ha direttamente affrontato (non avrebbe potuto farlo) la questione dell’eutanasia o del suicidio assistito ma, diciamo così, ha cercato di centrare l’obiettivo quasi come un effetto collaterale, introducendo una confusione ancora maggiore. La legge poi non c’è: dopo il pessimo testo approvato alla Camera il 9 marzo 2022 tutto si è arenato, la discussione è portata avanti con i consueti metodi solo dai fautori della “morte liberatrice”.
Sul fatto poi che una legge ci voglia o no le idee sono varie e si passa da chi una legge in materia non la vorrebbe affatto (tra questi molti medici) a chi la vorrebbe in versione “hard” e quindi legalizzante eutanasia e suicidio assistito (ad esempio l’associazione Luca Coscioni) a chi la vorrebbe in versione “soft” (anche alcuni cattolici) con il misero intento di “evitare un male maggiore”. Insomma, il solito “tutti contro tutti” con pochissime chiarezze razionali, moltissima ideologia, intenti economici non dichiarati e ancor più una generale bassezza culturale e morale. Intanto, a fianco dei pochissimi che vorrebbero davvero morire, scorre il fiume dei tanti malati seguiti a domicilio e in struttura, spesso marginalizzati quando non possono più guarire o selvaggiamente dimessi senza nemmeno fornire loro i farmaci per la sera. Come un mio paziente, in fase avanzata e molto giovane, inviato a casa al pomeriggio dall’ospedale con l’indicazione di fare un antibiotico endovena alle ore 20, inviato però senza fornire alla famiglia nemmeno una fiala di antibiotico. Forse le ragioni per cui qualcuno potrebbe vedere la morte come “buona” sono da ricercare anche in episodi come questo e, naturalmente, nella confusione senza ritegno che tutto consuma.