Regolare la morte in Germania è ancora scabroso. Così nel paese permane il vuoto normativo (e il capo del governo preferisce non prendere posizione)
Prima ancora che capo del governo tedesco, Olaf Scholz è deputato al Bundestag. Eppure, quando a inizio mese l’assemblea ha votato due proposte di legge sul suicidio assistito (Sterbehilfe, l’aiuto al trapasso), il cancelliere non ha votato “in quanto mi trovavo a un altro evento programmato molto tempo prima”. Un’assenza premeditata che non ha aiutato il Parlamento a scegliere: c’era da dare seguito alla sentenza con cui la Corte di Karlsruhe nel 2020 ha definito incostituzionale il divieto di eutanasia in Germania. “Il diritto generale della personalità include il diritto alla morte autodeterminata come espressione dell’autonomia personale”. Nulla di fatto invece: la proposta di legge avanzata da tutti i partiti fuorché i moderati ha raccolto 286 voti a favore; e quella ancora più trasversale (con dentro anche Cdu/Csu) ha avuto solo 302 sì, restando entrambe sotto la maggioranza.
I partiti tedeschi si sono affacciati sulla materia ma non si sono dati abbastanza coraggio intravvedendo ancora l’abisso di un passato in cui “l’eutanasia” veniva imposta a ogni tipo di disabile in una prova generale dello sterminio di massa di ebrei, rom e sinti, e omosessuali. Regolare per legge la morte, anche se autoinflitta, è un tema troppo scabroso in Germania: non è un caso che quando nel 2019 il Bundestag ha ritoccato le norme sull’aborto ha sì permesso alle cliniche di elencare l’interruzione di gravidanza fra i servizi erogati dalle proprie strutture (prima era vietato) ma si è ben guardato dal toccare l’impianto della legge, lasciando, di fatto, l’aborto una pratica illegale sulla carta ma depenalizzata nella pratica. Oggi sullo Sterbehilfe continuano a decidere i giudici caso per caso. Una situazione lungi dall’ideale, ha ammesso lo stesso Scholz. Ma quando la decisione tocca le coscienze dei deputati, ha aggiunto, è meglio che il cancelliere non prenda posizione.