L’effetto sull’Ue dell’onda anomala francese

Quanti danni può fare al funzionamento dell’Europa la decisione di Macron di ricontarsi in Francia? Segnatevi questa soglia: 35 per cento

Quando Emmanuel Macron ha annunciato a sorpresa lo scioglimento del Parlamento francese e nuove elezioni ravvicinatissime – venti giorni dopo – si sono spenti molti sorrisi. Era la sera dei risultati finali delle elezioni europee, l’estrema destra del Rassemblement national aveva confermato le previsioni con più del 30 per cento dei consensi e il Partito socialista era resuscitato al 14 per cento dopo anni di sostanziale sparizione. Volevano entrambi festeggiare, insomma, ma Macron ha detto: voglio che ci contiamo anche in Francia, se davvero questo è l’assetto politico che c’è anche da noi, allora devo prenderne atto e impostare gli ultimi tre anni del mio mandato presidenziale su questa evoluzione. E’ iniziata la campagna elettorale più nervosa di sempre, nello sconvolgimento generale perché l’ipotesi che il prossimo premier francese possa essere il giovane lepenista Jordan Bardella non è remota, vuol dire coabitazione con il partito che da sempre tutti gli altri avevano tenuto dentro un cordone sanitario. E’ venuto giù tutto, sorrisi e certezze, e per quanto siano pochi quelli che pensano che l’azzardo di Macron potrà portare all’obiettivo che si è posto lui, cioè togliere la maschera al Rassemblement national capace di urlare e smontare ma non di governare – per quanto appunto Macron non venga salvato nemmeno dai suoi, a reagire peggio di tutti è stata l’Unione europea, che l’instabilità francese non la sa gestire. Piromane, pazzo, irresponsabile, egoista: i sibili europei sulla decisione di Macron si sono moltiplicati, mentre è iniziata una fitta analisi dei rischi che si possono presentare. Il primo turno è ormai qui – si vota il 30 giugno – e abbiamo cercato di capire i timori europei ed europeisti.


L’orgoglio. “L’orgoglio fa danni alla Francia, ma anche all’Ue”, dice un alto funzionario europeo. “Irresponsabile”, specifica un altro. In pochi, a Bruxelles, sanno rispondere alla domanda: perché Macron lo ha fatto? L’allargamento dello spread tra i titoli di stato francesi e quelli tedeschi, che ha trascinato verso l’alto anche gli spread dei titoli italiani, ha creato un grande spavento, e qualcuno è arrivato anche a evocare “il momento Liz Truss”, cioè un momento di caos dai danni indelebili – 40 giorni della premier britannica si sentono ancora sui pagamenti dei mutui – in caso di vittoria alle legislative francesi del Rassemblement national o anche del suo opposto, il tormentatissimo Nuovo Fronte Popolare che raccoglie i partiti di sinistra. In realtà, dal punto di vista finanziario, la zona euro è ben attrezzata per prevenire una crisi del debito sovrano come quella del 2010-15, ma qui non si sta parlando di choc economici, bensì di choc politici. La Francia è la Francia, senza il suo impulso il cuore franco-tedesco non batte più e l’Ue va in blocco a livello politico: Macron è il leader che più ha spinto per l’integrazione europea, cioè per l’antitesi dei nazionalismi e sovranismi, se dovesse ripiegarsi su se stesso, la spinta si ridurrebbe molto. Tanto che qualcuno, estremamente catastrofista ma di questi tempi non si esclude nulla, evoca il “momento Brexit” della Francia, pure se di là dalla Manica la sbornia brexitara è finita e c’è invero poca voglia di ubriacarsi di nuovo.

Se Macron perderà la sua scommessa, è al Consiglio dell’Ue che le future leggi europee potrebbero essere affossate

Coabitazioni non comode. Una “coabitazione” tra Macron e un governo di estrema destra a Parigi sarebbe la rivincita per le forze anti sistemiche e anti Ue che non sono riuscite a cambiare gli equilibri alle elezioni europee. Prima delle elezioni europee la grande paura a Bruxelles era la possibilità di una paralisi dell’agenda legislativa a causa della fine della maggioranza europeista al Parlamento europeo. Invece la maggioranza tra Ppe, socialisti e liberali ha retto: con 400 seggi su 720 e la disponibilità dei Verdi a cooperare, direttive e regolamenti proposti dalla Commissione non resteranno impantanati nella plenaria di Strasburgo. Ma il 9 giugno è emersa un’altra minaccia sistemica per il buon funzionamento dell’Ue: se Macron perderà la sua scommessa e il Rassemblement national andrà al potere a Parigi, è al Consiglio che le future leggi europee potrebbero essere affossate. Con la Francia guidata da Jordan Bardella, potrebbe nascere una minoranza di blocco permanente formata con gli altri governi dominati dai paesi più ostili all’Ue: Italia, Paesi Bassi, Ungheria e Slovacchia.

Dove si misura il rischio. Il Consiglio dell’Ue è l’altro colegislatore dell’Ue. Lì siedono i rappresentanti dei governi, ministri e ambasciatori, che devono trovare un accordo tra loro e poi con il Parlamento europeo su ciascun testo legislativo. Ma il Consiglio è qualcosa di più di un Senato in Italia: nelle situazioni di emergenza – come è accaduto, per esempio, durante la pandemia e durante la crisi energetica – è lui a decidere ogni cosa senza nemmeno consultare il Parlamento europeo. Su politica estera e fisco, il Consiglio decide all’unanimità. Su tutto il resto – incluse questioni chiave come la riforma del Patto di stabilità e crescita, il Green deal o la politica migratoria – gli accordi si fanno con il voto a maggioranza qualificata. Ciascun testo deve ottenere il voto positivo del 55 per cento degli stati membri che rappresentano il 65 per cento della popolazione. La soglia magica – o famigerata, dipende dai punti di vista – per paralizzare un provvedimento è il 35 per cento, cioè un gruppo di paesi che rappresenti quella quota di popolazione nell’Ue. Normalmente è una quota difficile da raggiungere, una specie di soglia immaginaria, soprattutto tra stati membri piccoli o medi. Ma la Francia cambia tutto, e se associata all’Italia costituisce un gruppo con una certa consistenza. I Paesi Bassi tra pochi giorni avranno un governo in cui l’azionista di maggioranza è il leader di estrema destra Geert Wilders. L’Ungheria di Viktor Orbán e la Slovacchia di Robert Fico già ora votano il più delle volte “no” al Consiglio. Con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, anche l’Italia ha moltiplicato i “no”. Insieme, Francia, Italia, Paesi Bassi, Ungheria e Slovacchia rappresentano il 35,69 per cento della popolazione dell’Ue: appena oltre la soglia magica della minoranza di blocco al Consiglio. Gran parte del programma del Rassemblement national è incompatibile con la legislazione dell’Ue. La Commissione si troverebbe di fronte a un continuo dilemma: assecondare un governo di estrema destra a Parigi per contenere i danni o entrare in conflitto permanente con la Francia.

Un gruppo di paesi che rappresenti il 35 per cento della popolazione europea avrebbe un potere di blocco inedito

Una contingenza infelice. L’Ue è appena all’inizio del suo percorso verso l’autonomia strategica su cui Macron l’ha indirizzata durante il primo mandato. La guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina è destinata a durare ancora a lungo e Macron, dopo la prudenza iniziale, si è trasformato in uno dei pochi leader di guerra della vecchia Europa. La Cina minaccia una guerra commerciale, se l’Ue andrà avanti con i suoi piani di imporre dazi ai veicoli elettrici cinesi e di proteggere meglio i suoi interessi economici dai comportamenti predatori di Pechino. Le elezioni presidenziali negli Stati Uniti di novembre potrebbero riportare alla Casa Bianca Donald Trump, che nella sua politica ondivaga non perde occasione per parlare di dazi contro l’Ue e anche di abbandonare la Nato. Pure sul piano interno, l’Ue ha di fronte scelte esistenziali: l’allargamento all’Ucraina, alla Moldavia e ai Balcani occidentali non potrà essere realizzato senza riforme interne profonde, compresa la modifica dei trattati, e un bilancio dell’Ue completamente diverso. Il rafforzamento della difesa e la doppia transizione climatica e digitale hanno bisogno di un livello di investimenti tale che serve un nuovo strumento di debito comune europeo. Già in condizioni normali, sarebbe difficile per l’Ue affrontare tutte queste sfide senza una Francia forte e pure la Germania è guidata da un cancelliere, Olaf Scholz, votato alla cautela e uscito indebolito dalle elezioni europee. Un gruppo di stati membri – dall’Ungheria ai Paesi Bassi, passando per l’Italia – è in preda a forze centrifughe, che spingono alla chiusura e a soluzioni nazionali. Un altro gruppo – i paesi nordici e i paesi baltici – è pronto a uscire dalle sue posizioni tradizionali sul debito comune e la maggior integrazione per rafforzare l’Ue e le sue capacità di difesa, ma non è in grado di imporre l’agenda senza il sostegno di almeno uno dei due grandi. Gli ottimisti vogliono credere che sarà il presidente Macron a fare la politica europea, perché è a lui che tocca la competenza della politica estera. Ma come dicevamo al Consiglio dell’Ue siedono i ministri del governo, non Macron. E sono loro i titolari del diritto di voto. Ai tempi della politica della sedia vuota del generale de Gaulle c’era l’unanimità nell’Ue. Tra il 30 giugno 1965 e il 30 gennaio 1966 tutto si bloccò. Oggi c’è il voto a maggioranza, ma basta la minoranza di blocco per paralizzare l’Ue.

I sondaggi francesi lasciano intravedere due scenari per la Francia: un governo dell’estrema destra oppure l’assenza di una maggioranza. Entrambi i risultati possono portare a rallentamenti e intoppi più o meno seri, e l’Europa non ha più tempo per gli indugi. Macron scommette che la maschera dell’estremismo infine cadrà, molti dicono di aspettare che i francesi vadano al voto prima di allarmarsi troppo, ma intanto l’Europa dovrà imparare anche a muoversi in apnea.


(ha collaborato David Carretta)

Leave a comment

Your email address will not be published.