La Georgia corre, è una maratona a ostacoli

Per il futuro europeo e per l’economia: le proteste di Tbilisi puntano a ottobre. Protagonisti, antagonisti, comparse e suggeritori. Una galleria di ritratti

Non siamo soli”, ha detto la presidente della Georgia Salomé Zourabichvili, pensando ai suoi alleati europei che dopo l’approvazione della “legge russa” da parte del Parlamento sono arrivati a Tbilisi per far sentire la presenza di Bruxelles e la lontananza di Mosca. Molto in questi giorni ruota attorno alle decisioni della presidente, al suo veto che sarà simbolico perché il Parlamento, un monolite in cui la maggioranza appartiene senza screzi a Sogno georgiano, può sovvertirlo. La piazza georgiana attende. E’ arrabbiata non soltanto perché la legge che obbliga le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei finanziamenti dall’estero dovranno autodenunciarsi come agenti stranieri.



E’ furiosa non soltanto perché la decisione del partito di governo Sogno georgiano mira a reprimere il dissenso, si ispira al Cremlino e allontana il paese dal suo cammino europeo. E’ smaniosa anche perché questa è una corsa e porterà fino alle elezioni di ottobre, è una maratona e da questi cinque mesi dipenderà il futuro del paese, in cui non soltanto la democrazia è in pericolo, ma anche l’economia ed è questa l’alchimia della protesta perfetta. In Georgia tutto è iniziato prima, quello che è successo in questo paese il cui territorio è occupato per il 20 per cento da Mosca è la prova in piccolo di ciò che poi abbiamo visto in Ucraina. Piccolo, ma non meno devastante, soltanto più lontano, ma non meno visibile. La diplomazia di alcuni paesi europei si muove con più velocità e non è un caso che a far sentire Zourabichvili meno sola fosse la presenza a Tbilisi dei tre ministri dei paesi baltici e dell’Islanda. Lituania, Lettonia ed Estonia condividono il passato con la Georgia, conoscono la paura di un’invasione di Mosca. Sono sempre i primi a muoversi, come è accaduto anche con l’Ucraina, sono partiti, hanno cercato un legame. Il ministro degli Esteri lituano, l’iperattivo e sempre esplicito Gabrielius Landsbergis, ha detto: “Siamo venuti come i più vicini dei vostri amici, amici che hanno a cuore la Georgia, i suoi cittadini e il suo futuro europeo”. Vista da est, l’Europa è più grande, è più larga, ha valori sempre più comuni. Tra i primi a parlare con Salomé Zourabichvili dopo l’approvazione della legge russa c’è stato anche Volodymyr Zelensky. I due paesi si parlano, si studiano convinti che se l’aggressione contro la Georgia nel 2008 non fosse rimasta impunita, non ci sarebbe mai stata l’invasione dell’Ucraina. Vladimir Putin ha fatto prove generali su prove generali, e il sipario non era mai chiuso, tutto era visibile. Lo è ancora, eppure nonostante la diplomazia assennata dei baltici, l’Ue è rimasta in platea, non guarda il palco.

I tempi di reazione. L’Unione europea ci ha messo quasi 24 ore a reagire, con una dichiarazione dell’Alto rappresentante, Josep Borrell, insieme alla Commissione per dire un paio di banalità. Primo, che “l’Ue sostiene il popolo georgiano e la sua scelta a favore della democrazia e del futuro europeo della Georgia”. Secondo, che “l’adozione di questa legge ha un impatto negativo sui progressi della Georgia nel percorso verso l’Ue”. Borrell e la Commissione hanno chiesto alle autorità georgiane di ritirare la legge e proseguire nelle riforme necessarie ad aprire i negoziati di adesione. Ma per arrivare a dichiarare ciò che dovrebbe essere scontato, tanto più alla luce del conflitto geopolitico in corso nel piccolo paese del Caucaso, ci sono voluti lunghi negoziati, segnati da una serie di imbarazzanti intoppi. In realtà, la bozza del testo dell’Alto rappresentante era pronta da giorni. Ma Borrell non ha potuto fare la sua dichiarazione a nome dei ventisette stati membri, perché l’Ungheria ha messo il veto, sostenuta dalla Slovacchia. Dopo l’adozione della legge martedì, Borrell è rimasto comunque muto perché il commissario responsabile dell’Allargamento, l’ungherese Olivér Várhelyi, non era d’accordo con il contenuto della dichiarazione. Quando il testo è stato finalmente pubblicato martedì a mezzogiorno a nome dell’Alto rappresentante e del commissario all’Allargamento, Várhelyi ha ritirato la sua firma, costringendo Borrell a chiedere il permesso a Ursula von der Leyen per procedere. Várhelyi è il commissario di Orbán ma non è l’unico responsabile del mutismo delle istituzioni comunitarie. Tra i ventisette ci sono opinioni diverse su quanto cercare di influenzare gli eventi a Tbilisi. La Francia è particolarmente prudente per il timore che l’Ue venga accusata di ingerenza. Altri paesi, come l’Italia, appaiono disinteressati – ieri il ministro degli Esteri Tajani ha detto che la legge è contraria ai principi Ue. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha parlato con la presidente Zourabichvili e il primo ministro Kobakhidze. Ha scelto un “approccio cauto”, spiega una fonte dell’Ue. La minaccia implicita dell’Ue a Sogno georgiano è di congelare il processo di adesione, rifiutando di approvare il quadro negoziale e aprire i negoziati. La revoca dello status di paese candidato può essere bloccata dal veto di Orbán. Lo stesso vale per le sanzioni contro l’imprenditore e vero leader di Sogno georgiano Ivanishvili o contro il premier Kobakhidze. Paralizzata dai suoi putiniani, muta per paura di innescare una nuova Euromaidan, l’Ue rischia di far scivolare la Georgia verso un futuro stile Bielorussia.

Il veto di Salomé. Il primo passo per riportare la Georgia sul suo sentiero europeo lo farà la presidente, Salomé Zourabichvili, il suo cognome si scrive seguendo la traslitterazione francese perché, figlia di politici emigrati, è nata a Parigi, è cresciuta parlando in francese. Conosce l’Europa, l’ha vissuta, e il suo ingresso politico in Georgia lo ha fatto come ambasciatrice. Si trova a suo agio nell’incontrare i leader stranieri, lo scorso anno il Parlamento voleva aprire una procedura di impeachment contro di lei per i viaggi all’estero non approvati dal Parlamento: lei rispose con un book fotografico di strette di mano tra le capitali europee. Ha una lunga storia di litigi politici e di determinazione. Prima con l’ex presidente Mikheil Saakashvili – che oggi è in prigione, magro, grigio, silenziato, con tutta probabilità avvelenato – è stata ministro degli Esteri e fu lui a darle la cittadinanza georgiana. Dissentivano su molte questioni, e negli anni è diventata una delle sue più forti e organizzate oppositrici. Con Sogno georgiano neppure era iniziata male, anzi. Ma poi i rapporti hanno iniziato a consumarsi. Anche con la piazza il rapporto non è stato sempre dei migliori, ma adesso è lei che sfida il partito che vuole sovvertire tutto. E’ lei che firma le grazie per i detenuti che non piacciono al governo. E’ lei che si è proposta di mettere insieme un fronte europeista che possa arrivare dritto fino alle elezioni.

L’oligarca padrone. Bidzina Ivanishvili è l’oligarca che ha creato Sogno georgiano, e che è entrato attivamente nella politica georgiana per contrastare Saakashvili che definiva “un dittatore” degno dei tempi sovietici: la Russia di Vladimir Putin è più libera della Georgia di Saakashvili, diceva. Nel 2012, quando decise di sfidare direttamente il suo rivale, Ivanishvili diceva di aver dismesso due terzi delle sue fortune – accumulate in Russia negli anni Novanta, nel settore farmaceutico, in quello bancario e nel real estate – anche se ancora aveva una quota nel colosso russo Gazprom. Allora più che dei suoi legami con Putin si favoleggiava della sua villa tutta vetri a Tbilisi, della piscina piena di squali, degli alberi esotici, della sua passione per le opere d’arte e di quella, ben più eccentrica, per gli animali selvatici: pinguini, lemuri, canguri, una zebra, non si dava limiti. I pettegolezzi si mischiavano con il suo progetto politico, distraendoci tutti mentre Ivanishvili, da cui dipende circa un terzo del pil della Georgia, indicava politici, ministri, premier e faceva diventare Sogno georgiano il partito al potere e del potere. Complice la sua riluttanza a mostrarsi in pubblico, Ivanishvili è entrato e uscito dalla politica attiva, fino a quando, il 30 dicembre dello scorso anno, al congresso di Sogno georgiano, si è nominato presidente onorario del partito e ha dato le indicazioni per prepararsi alle elezioni previste per ottobre. Quattro mesi dopo, poco prima della pausa per la Pasqua ortodossa, nel pieno delle proteste contro la “legge russa”, con Tbilisi invasa ogni sera di giovani, famiglie e bandiere europee, ha tenuto un discorso-manifesto in cui ha detto che la Georgia è contro il Partito della guerra globale, cioè l’occidente, e che impedirà a chiunque di stravolgere il governo con azioni governate dall’estero: entreremo nell’Unione europea, ha detto Ivanishvili, forte dell’apertura dei negoziati decisa da Bruxelles nonostante le condizioni non fossero del tutto soddisfatte, ma con i metodi decisi da lui, con le influenze esterne decise da lui – e pare di sentire il governo ungherese che dice che l’Ue è peggio dell’Unione sovietica – e con le leggi liberticide decise da lui.

Il premier del “secondo fronte”. Irakli Kobakhidze è uno dei prescelti e a febbraio è diventato primo ministro. Quarantasei anni, l’aria sciupata, una somiglianza con il presidente argentino Javier Milei (forse per via dei capelli), Kobakhidze è un costituzionalista che ha studiato all’Università di Düsseldorf e che è entrato molto presto nel Sogno georgiano, di cui è stato presidente, e in Parlamento. Kobakhidze ripete da tempo il copione del partito, dice che l’occidente vuole trascinare la Georgia nella guerra in Ucraina e anzi aprire “un secondo fronte” in Georgia, avallando così la propaganda russa. Nonostante sia il governo che ha ottenuto l’apertura della porta di accesso all’Ue – quando questo è accaduto, molti esperti georgiani dicevano che la decisione europea si sarebbe infine rivelata controproducente – Kobakhidze sbraita contro le ingerenze europee e soprattutto americane, lanciandosi sui social in invettive contro i diplomatici occidentali che sono stati in Georgia e che, secondo lui e il suo governo, hanno gettato i semi della destabilizzazione per trascinare il paese in una guerra contro la Russia che evidentemente non vuole.


Ecco i volti di questa Georgia in subbuglio, di questa maratona di battaglia, speranze e repressione. Saranno cinque mesi rischiosi, ma più guardiamo, più ci concentriamo, più sembra che ne manchi uno di volto in questa galleria di ritratti: quello di un candidato dell’opposizione. Per ora è una piazza che si allarga, pronta a tutto, ma a ottobre ci saranno le elezioni e il dissenso dovrà diventare voto. Un politico dell’opposizione ci ha detto che contro Sogno georgiano c’è un piano: unirsi tutti, fare una coalizione per battere il partito illiberale che deraglia verso Mosca. Ci ha detto di avere in mente un modello: la Polonia. L’opposizione a Varsavia ha vinto le elezioni, è stato un successo, ma un volto ce lo aveva eccome e ha dato forma a tutto.


(ha collaborato David Carretta)

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